La coscienza si può toccare
Dennett, un libro-provocazione Dennett, un libro-provocazione La coscienza si può toccare F MILANO ILOSOFI, coraggio: non riposate sul passato». Daniel Dennett è un filosofo alto e grosso, viene da Boston, ha studiato a Harvard e a Oxford e confessa che molte volte ha esortato i suoi colleghi a «utilizzare i tesori delle neuroscienze e dell'informatica». Il divorzio, la «cesura tremenda» fra filosofia e scienza è recente, risale al secolo scorso; prima c'erano i vari Leibniz e Cartesio, Hume e Locke e Kant, gran signori pure di scienza: modelli ancora utili per combattere metafisica e retorica. Dennett parla del suo ultimo libro, Coscienza (Rizzoli). Seicento pagine, leggibili anche dai non addetti ai lavori, dove vuole smantellare l'idea che la coscienza è qualcosa di superiore e di inafferrabile. «Questa mia ricerca demistificante può apparire un atto di vandalismo intellettuale». Non c'è il cervello da una parte e la mente da un'altra. Un colore, un suono, un'emozione, un concetto sono tutti lì, nelle pieghe del cervello. Io sono il mio cervello-mente. Povero Cartesio, con il suo dualismo di pensiero e materia: Dennett gli si accanisce contro. Come comunicherebbero fra di loro pensiero e materia? Attraverso la ghiandola pineale, risponde Cartesio: una specie di goccia al centro della testa. Segnali-fantasma, per il filosofo di Boston: «Nessuna energia o massa fisica è associata a questi segnali». «Offro un modello alternativo a scienziati e filosofi», si infervora Dennett. «La coscienza non è un mezzo, ma un'organizzazione globale. Non c'è un boss, un direttore d'orchestra, un centro Daniel Dennet privilegiato che racchiuda segreti. La coscienza è il cervello». Non sarà un'interpretazione un po' riduttiva? «Nient'affatto. Siamo ai primi passi in questo modo di pensare. Nuove bellezze e ricchezze sono tutte da scoprire. La magia delle precedenti visioni copriva una banale mancanza d'immaginazione. Focose divinità che guidano carri dorati attraverso i cieli sembrano personaggi da fumetto in confronto alle affascinanti stranezze della cosmologia contemporanea. Gli intrecci del Dna fanno sembrare lo "slancio vitale" di Bergson attraente come la Kryptonite di Superman. Quando non ci sarà più mistero, la coscienza apparirà differente, ma ci sarà ancora bellezza e uno spazio ancora più grande, per il timore reverenziale». «Mi piacerebbe essere considerato un pioniere ammette Dennett -. Cambieranno molte cose, con questa maniera di pensare. In meglio». Una visione materialistica, biologica, della coscienza, intesa come sistema percettivo e come arena nobile del pensiero e della morale. Dennett rispetta la diffidenza che le sue teorie suscitano. Lui stesso si sorprese, una mattina che leggeva un libro su una sedia a dondolo: alzò gli occhi dalle pagine, ascoltò meglio i violini di Vivaldi che gli venivano dal grammofono, vide la luce del sole dalla finestra e i riflessi sui rami d'acero. Com'è possibile che quella bellezza complessa fosse una combinazione di eventi elettro-chimici nel suo cervello? «Non potevo crederci. Ho cominciato a riflettere e a studiare e ho scritto questo libro. La conclusione? E' bellissimo essere un cervello». [c. a.] Daniel Dennett
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