Show della Dall'Orto in tribunale

Reggio Emilia, per i giudici non è colpevole della tentata estorsione al cognato Reggio Emilia, per i giudici non è colpevole della tentata estorsione al cognato Show della Dall'Orto in tribunale REGGIO EMILIA DAL NOSTRO INVIATO Questa signora una volta era la Sue Ellen della Padania. Capelli neri fluenti, sguardo intenso di occhi verdi. A vederla così, il tempo non sembra averle rubato niente. Meno male. Perché non sono stati giorni belli, quelli passati. Oggi l'hanno assolta, la signora Silvana Dall'Orto, imputata per tentata estorsione, dopo essere stata rapita e sequestrata dai banditi, e poi arrestata dallo Stato e accusata, assieme al fratello Artemio, d'aver cercato di estorcere denaro al cognato. Una storia così stramba e complicata, così assurda, da sembrare inventata. Storie italiane, cerchiamo di non dimenticarle così facilmente. Adesso, non la chiameranno più «la Sue Ellen della Padania». Era il tempo della Mantide e della Circe, neanche troppi anni fa, quando non c'erano garantisti che insorgessero per nessuno, nemmeno fra gli avvocati. Questa volta, la telenovela della Padania, come l'avevano battezzata i giornali, sembra davvero finita. E si chiude con una scena un po' da melodramma. Lei sviene e urla, con gran trambusto. Ma tant'è. Cinque anni così lasciano brutti segni, marchi indelebili. In quest'aula bella e nuova non pare nemmeno di stare in Tribunale. Renzo De Biase, il presidente della Corte, non fa nemmeno a tempo a leggere la sentenza che manda assolti tutti. S'ode un tonfo, mentre sta finendo di recitare la formula di rito: «... per non aver commesso il fatto». Silvana Dall'Orto è caduta, testa all'indietro, sorretta dal giornalista che le stava accanto. E' svenuta. Il marito, Giuseppe Zannoni, si precipita scavalcando le transenne, trascinandosi appresso cameramen e fotografi. Piccola ressa. «Non far così», sussurra lui, «dai, Silvana, non far così». Lei ansima. I giudici dagli scranni chiamano un medico. I parenti chiedono aiuti. Gli avvocati urlano a tutti di stare calmi. I cronisti fanno cerchio, registratori accesi. Zannoni: «Non far mica questa scena qua, che avevi detto di essere forte». Lei invoca, in trance, il figlio morto: «Enrico. Enricooo. Enrico sei tu». Panico intorno. Il marito: «Basta, smettila, su, dai...» E lei: «Sei tu, mi sei venuto a salvare. Meno male. Ho sofferto tanto, amore mio...» Il presidente: «Ha battuto la testa? Chiamate un medico». Il fratello, Artemio, l'altro imputato in questo strano processo, si china e l'abbraccia. Silvana continua a delirare: «Artemio sei Enrico, lo so...». Gli avvocati fanno crocchio, mentre lei comincia ad aprire gli occhi: «Mi fa male il cuore». Zannoni: «Basta, su. Adesso basta». E lei, più forte: «Artemio, per te mi farei uccidere. Siamo innocenti. Siamo due ragazzi innocenti». Il marito, gli avvocati, tutti insieme: «Basta, basta, basta...». Lei: «Sto male. Portatemi via. Sto male». Il presidente: «Via le telecamere, via!». Sembra facile. Ma la confusione cresce, come in un girone dell'inferno. Dal pubblico, urla concitate: «Fatela respirare, allargatevi!». Poi, finalmente, un po' di calma, quasi all'improvviso. La signora si alza, si ricompone, si siede, aiutata dagli avvocati. Qualche lacrima: «Grazie, perché esiste la Giustizia». Anche il marito si rilassa: «Questa è la tensione di cinque anni. E questo è niente in confronto a quell'inferno che abbiamo dovuto vivere. E' da cinque anni che siamo sotto. Prima il rapimento, poi la Giustizia. I fatti si commentano da soli». Lei butta una frase qui, una frase là, volgendosi a destra e a manca: «Mi fa male il cuore; che sofferenza, è come un parto; è finito tutto; non ci posso credere». Il marito le fa eco: «Hanno capito, c'è voluto tempo, ma hanno capito». E lei, prima di rialzarsi, per uscire dall'aula: «La Giustizia esiste. Non ci credevo più». Fuori, nel cortile, sotto a un cielo di cenere, davanti ai pioppi e alle ciminiere della Padania, è ancora tempo di baci e abbracci. Il pubblico ministero, Giancarlo Ruggieri, si defila: «Non ho nien¬ te da dire. Se ci sarà appello, sarà l'ufficio a provvedere». L'avvocato Romano Corsi, invece, lì accanto, esprime «tutta la legittima soddisfazione per una sentenza giusta. Ma cerchiamo anche di non dimenticare l'amarezza di chi ha dovuto aspettare cinque anni perché arrivasse. Cinque anni di sofferenze». Tanti ne sono passati dall'ottobre dell'88, quando i banditi mascherati portarono via Silvana Dall'Orto, moglie di Giuseppe Zannoni, ceramista miliardario, dalla sua grande villa alle porte di Reggio Emilia. Sette mesi dopo, il primo maggio dell'89, la liberazione. Per il riscatto, si disse, 4 miliardi. Ma finita la pena del sequestro, ne cominciò un'altra. Un anno dopo, a febbraio, arresti clamorosi per la signora. La procura di Reggio Emilia l'accusava di aver tentato d'estorcere, in combutta con i suoi ex sequestratori, un bel gruzzolo di soldi al cognato. Dei banditi, s'era smarrita la pista. In compenso, famiglia spaccata, grandi liti, veleni, accuse e sospetti, nel cuore della Padania, il Far West d'Italia, con la sua teoria di ciminiere e campi pettinati. Adesso, dopo altri tre anni di beghe, è arrivata la sentenza. Zannoni chiude la porta dietro di sé. Silvana telefona alla figlia: «E' la felicità, finalmente. Condividiamola insieme». A lui, invece, Giuseppe Zannoni, baffoni e occhi svelti, non basta ancora: «Sarò più felice quando troveranno anche i banditi». E poi, a mo' di chiosa: «E quando avremo potuto dare del rimbambito a certa gente. Loro hanno detto di aver avuto a che fare con un imbecille per sei mesi. Ma io per tre anni ho avuto a che fare con uno che poi vi dirò io chi è». Meglio di no, per carità. Meglio chiudere i taccuini e scappare via. Se no ricominciamo da capo. Un'altra telenovela... Pierangelo Sa pegno Silvana Dall'Orto, rapita nell'ottobre dell'88 e rilasciata nel maggio dell'89, con le figlie, Ilaria e Alessia appena liberata. La donna ieri è stata assolta dall'accusa di tentata estorsione ai danni del cognato

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