«Lercaro l'opportunista»

20 il caso. Un settimanale vicino a CI riscrive la biografia del cardinale «Lercaro l'opportunista» Da conservatore a uomo del dialogo ma sempre grande amico di Ortolani HE Sua Eminenza abbia degli amici non può essere motivo di scandalo. A meno che fra le sue frequentazioni non annoveri qualche «relazione pericolosa». A Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna dal 1952 al '68, è dedicata una lunga inchiesta di Andrea Tondelli sull'ultimo numero del mensile cattolico 30giorni. Titolo: «Gli amici di Sua Eminenza». Il card. Lercaro, scomparso nel '76, è una delle figure più rilevanti nella Chiesa del dopoguerra, due volte in odore di pontificato, protagonista del Concilio e della riforma liturgica che ha abolito il latino dalla messa. Nella memoria popolare è rimasto come il campione del progressismo, della rivoluzione giovannea e del dialogo con i marxisti; insignito nel '66 della cittadinanza onoraria dal sindaco comunista di Bologna, e «dimissionato» da Paolo VI nel '68 dopo un crescendo di contrasti e all'indomani di una dura critica all'intervento americano in Vietnam. Pochi ricordano il suo passato ferocemente conservatore, la sua reazione addolorata, nel '59, al solo annuncio che Eisenhower si sarebbe incontrato con Krusciov, e prima ancora le battaglie anticomuniste nella rossa Bologna, con l'istituzione di un corpo speciale di «frati volanti» pronti a tenere prediche in piazza per contrastare il nemico. Eppure tutto ciò è stato dimenticato, rimosso, dice 30giomi. Come pure è stata cancellata la memoria dell'«amicizia pericolosa» che fin dagli Anni 50 legò il cardinale a uno degli uomini più intrallazzati degli ultimi decenni, quell'Umberto Ortolani che molti indicano come il cervello della P2, banchiere e cavaliere di ordini vari, legato ai regimi golpisti sudamericani, condannato a 19 anni di carcere per il crack dell'Ambrosiano. Ortolani, rievoca 30giorni, era stato scelto da Lercaro come «gentiluomo d'onore» incaricato di rappresentarlo presso gli ambienti romani: un rapporto passato indenne attraverso le due fasi della politica cardinalizia, intes- suto di sontuosi regali e sostanziosi finanziamenti alle attività assistenziali del prelato. L'intento di 30giorni, mensile vicino a Comunione e Liberazione e vicinissimo al card. Ratzinger, è evidente: rientra nella linea del giornale che già altre volte ha denunciato le infiltrazioni piduiste nella Chiesa, la riduzione del cristianesimo alla dimensione etica, l'appiattimento sui valori mondani. Attenzione, i progressisti sono conservatori e i conservatori progressisti - si vuole suggerire -, e anche un campione del dialogo come Lercaro non è quella figura a tutto tondo che è stata tramandata. Ma basta qualche frequentazione «pericolosa» a gettare un cono d'ombra all'apostolo della «Chiesa dei poveri»? Basta una tardiva conversione politica a incrinare la sua figura morale? Gianni Baget Bozzo, il prete genovese che ha seguito una parabola per qualche verso simile a quella di Lercaro (dalla cerchia del conservatore card. Siri all'impegno nel psi pre-Tangentopoli) non dà tutti i torti a 30giorni: «Il mio caso è rovesciato: io non ho mai cercato il potere. Nella conversione politica di Lercaro è ineliminabile il sospetto dell'opportunismo. E' un modo di aggregarsi al carro del vincitore, di attaccare l'asino alla linea maggioritaria del nuovo spirito conciliare». «Il Lercaro progressista "puro e duro" è un mito», dice Vittorio Messori. Come spiegare allora la conversione degli Anni 60? «Penso a una tipica ingenuità che ha travolto certi anziani uomini di Chiesa - risponde lo scrittore cattolico -. Erano stati educati a una spiritualità chiusa, erano intossicati di incenso, e il Concilio ha spalancato loro le porte di un mondo che non conoscevano e che li ha abbagliati». E l'amicizia di Lercaro con Ortolani, e il ruolo poco limpido in certe speculazioni edilizie, a cui fa riferimento 30giorni7 Messori ha pronta l'assoluzione: «Se utilizzava a buoni fini il denaro che riusciva a ottenere, non vedo perché scandalizzarsi. Don Bosco, per mantenevare i suoi ragazzi, diceva di essere disposto a spillare soldi anche al diavolo». Nell'ottica di Messori, la figura di Lercaro non è sminuita dalle revisioni storiografiche. Ma le rivelazioni di 30giorni non sono tali per chi, come Baget Bozzo, ha memoria dei tempi più lontani: «Ricordo benissimo un fatto di metà Anni 50, quando il vescovo di Prato, mons. Fiordelli, venne condannato per avere definito "adulteri" un uomo e una donna sposati civilmente: Lercaro fece suonare a lutto le campane di Bologna. La conversione avvenne sotto l'influenza di Giuseppe Dossetti. Lercaro era un uomo di grande cultura, ma anche un fermo conservatore con spinte populiste. E proprio il populismo rappresenta il suo elemento di continuità, quello che gli impedì di aprirsi al conciliarismo "liberale" di Montini». Fu la causa della drammatica rottura nel '68, uno dei momenti più duri del pontificato di Paolo VI. Il 6 gennaio di quell'anno un'auto blu del Vaticano giunse a Bologna per annunciare all'arcivescovo che il Papa aveva accettato le sue dimissioni. «Fu una congiura - ricorda Ortolani, intervistato da 30giorni -. Lui cadde dalle nuvole. Non mi spiego come mai non fu colto da malore, tanta fu la sua sofferenza». Maurizio Assalto Baget Bozzo: scelse il carro del vincitore Messori: macché progressista, fu un ingenuo Sopra Giovanni XXIII. A lato Umberto Ortolani Sotto Vittorio Messori e Gianni Baget Bozzo Monsignor Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna per 16 anni, fino al 1968. Fu spinto a dimettersi da Paolo VI (nella foto in alto)

Luoghi citati: Bologna, Vietnam