Cade la dc con il suo viceré di Giuseppe Zaccaria

Cade la de con il suo viceré Cade la de con il suo viceré «Ecco la verità per amore di mia figlia» LO STUPORE DELLA CITTA' NAPOLI DAL NOSTRO INVIATO «Sarà l'amore a salvare il mondo, e l'egoismo a strangolare gli iniqui». Adesso, dite voi se alla luce di queste parole quel che sta accadendo fra le strutture immutabili del potere napoletano non assuma le tinte di una rivoluzione epocale, i connotati del disfacimento di un vicereame. Il cardinale Giordano, arcivescovo e grande moralizzatore della città, l'aveva preconizzato in una recente intervista a Nuova stagione, settimanale della Curia. E adesso Alfredo Vito cosa racconta? Annientato da sette ore di confessione il gran visir del potere doroteo, l'ex «signor nessuno» tramutato dalle preferenze in «signor centomila», singhiozza: «Ho confessato per amore di mia figlia e di tutti i giovani: è il momento di tornare ai valori basilari della fede». Il vice Gava, il numero due nell'organizzazione, il nocciolo duro dell'antico cuore democristiano, crolla, accusa, si autodefinisce grande collettore delle bustarelle partenopee, si dimette. Questa non è solo l'onda lunga di Tangentopoli, il crollo delle propaggini di un regime: è un colpo al pilastro, il dito nell'ombelico, il masso sfilato dall'angolo della piramide. L'edificio della de napoletana, uso a veder scivolare ogni accusa sulle sue muffe cariche di storia, comincia a disfarsi proprio per la mancanza di quello che pareva il supporto più stabile. E se a uscire dalla comune è «Vito Alfredo», come ancora centomila napoletani usano dire, se a pentirsi e ad accusare è quest'ometto grassottelle e schivo, allergico a foto e interviste, questa sorta di politico in apnea, allora è proprio l'inizio della fine. Prima del re viene il vicere, rammenta un'antica massima napoletana. In una città governata per secoli dai delegati di Spagna, questo significa che prima di qualsiasi appello al potere assoluto occorre fare i conti con quello delegato, effettivo, incombente. E del viceré, Vito Alfredo aveva imparato presto a svolgere il ruolo, dopo anni di avvicinamento ai Gava compiuto quasi a pelo d'acqua. Posto all'Enel abbandonato (in aspettativa) tredici anni fa, almeno due ore al giorno trascorse al telefono con gli elettori, il grande pentito di oggi era riuscito a passare alle cronache di ieri solo per due frasi, entrambe a loro modo esemplari. La prima: «Le campagne elettorali durano cinque anni». La seconda. «Modestamente, posso dire di essere uno che contribuisce a portare un po' di voti alla de». Esattamente, 104.532. Il 5 aprile dell'anno scorso, mentre in tre quarti del Paese i partiti di governo crollavano, con questa valanga di preferenze l'oscuro diacono dell'apparato sembrava indicare al partito la via dell'arroccamento. Ora non sarà più possibile: trasformare questa città nell'ultimo ridotto della Prima Repubblica. E' per questo che i potenti trasecolano: «Io querelo», «Io denuncio», «Io ero di un'altra corrente»: è un'esperienza straordinaria, quella di sondare in queste ore le reazioni della Napoli che era abituata a contare. D'improvviso è come se perfino qui la de abbia smesso di esistere, se ognuno si rintana nella sua buca mentre fra le correnti si scatena la guerra di sopravvivenza. C'è chi reagisce col silenzio, chi con l'aggressività, chi rifugiandosi in una sorta di dissociazione da choc. Diego Tesorone, per esempio, ex assessore torchiato per una notte intera nella caserma «Zanzur» della Guardia di Finanza, sembrava Felice Caccamo (sì, proprio il falso telecronista napoletano di Mai dire gol) quando ieri, di prima mattina, con due occhiaie così, è comparso in piazza dei Martiri dicendo a tutti: «Arresti? Denunce? Ma quando mai, io sono appena andato a comprarmi una cravatta da Marinella... E comunque non ho rinnovato la tessera della de». I tentativi di rimozione s'inseguono fra telefonate ai cronisti amici, interviste a raffica ai quotidiani cittadini, annunci di dimissioni poi rettificati. Dal telefonino cellulare la voce di Paolo Cirino Pomicino, prima tessera caduta nel domino che si affastella, invece giunge arrochita: «Non mi risulta che nessuno dei miei abbia sbagliato, se lo ha fatto non daremo nessuna copertura. Ma quel che mi sconcerta è il fatto che l'uomo forte del gruppo doroteo tenti di attenuare le proprie responsabilità accusando tutti quelli delle componenti minoritarie. Dovreste battere una pista: come mai questo signore, che ha solo un avviso di garanzia, improvvisamente racconta tutto accusando solo gli avversari?». Sarà per il vaticinio del cardinale, forse. Comunque, è in effetti curioso come il grande collettore delle tangenti finora non abbia fatto il minimo accenna a Gava ed alla sua corrente, almeno per quel che si sa. Vincenzo Scotti, altro de della minoranza napoletana, affida alle agenzie una smentita minacciosa: «Non conosco nessuno dei miei che abbia ricevuto contributi da imprese: se qualcuno l'avesse fatto ne sarebbe responsabile a titolo personale. Denuncio chiunque utilizzi il mio nome». E Ugo Grippo, forzanovista in ritirata: «Smentisco le accuse di Vito: con lui o con i suoi non ho mai avuto incontri che riguardassero trattative finanziarie. E poi, in nessun momento della mia vita politica ho avuto contatti o convergenze con la corrente dorotea...». Aspettando la tempesta, i grandi di Napoli si arroccano. Ma la base li sta già superando, sia pure con metodi un po' troppo partenopei. Ieri al comitato provinciale de un funzionario ha respinto più di un iscritto che intendeva partecipare al rinnovamento esibendo adesioni precompilate al «manifesto» di Martinazzoli, in una sorta di conversione in extremis. Chissà che anche la seconda parte della profezia del cardinale non cominci ad avverarsi. Giuseppe Zaccaria Lo scudo crociato sembra addirittura non esistere più E tra le correnti si scatena la guerra per sopravvivere Pomicino: dei miei nessuno ha sbagliato Scotti: mai sentito parlare di mazzette Napoli, Tangentopoli sbarca nella città del degrado

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