Denuncia la molestia Il paese la condanna
Nel Veronese, costretta ad andarsene Nel Veronese, costretta ad andarsene Denuncia la molestia Il paese la condanna Ricattata dalproprietario di un bar E' stata anche minacciata di morte VERONA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Da vittima a imputata. In paese nessuno le ha perdonato la denuncia per molestie nei confronti del datore di lavoro. E cosi adesso questa donna di cui si conosce soltanto la sigla P. A. si ritrova disoccupata e costretta a vivere lontana da casa perché minacciata. Sì, minacciata, anche di morte. Tutto perché non ha accettato di andare a letto con il proprietario del bar in cui era stata assunta e si è ribellata, andando al sindacato. Una storia che potrebbe entrare a pieno titolo in «Giù le mani», il libro che Adele Griseri ha dedicato alle molestie sessuali sul posto di lavoro. Una storia scritta in un ricco e provinciale paese della Bassa Veronese, Asparetto di Cerea. Lei, la vittima diventata imputata agli occhi dei compaesani, ha ventuno anni, un figlio di tre e un mestiere di cameriera. Anche suo marito serve in bar e ristoranti, quando trova qualcuno che lo assuma. La loro storia d'amore è cominciata sui banchi di scuola, compagni nella stessa classe delle medie. Poi, a diciassette anni, quando lavorano nella stessa pizzeria, la decisione di sposarsi, per dare una famiglia a quel bimbo in arrivo. Per assicurarsi un futuro anche economico, P. A. ha accettato di cambiare mestiere, si è inventata lucidatrice di mobili. Un lavoro che le piaceva, ma che è durato troppo poco: la fabbrica ha chiuso, fallita. Così, mentre il marito continuava a campare su lavori saltuari, lei è ricorsa all'assistente sociale per poter allevare il figlioletto, nell'attesa di trovare un nuovo posto. Era convinta di averlo trovato quel giorno in cui il proprietario di un bar vicino a casa, le aveva offerto di lavorare per lui. «Non mi sembrava vero ha raccontato davanti alle telecamere di un'emittente locale -: avevo trovato un'occupazione a pochi passi dalla mia famiglia, un salario garantito tutti i mesi. Ma l'illusione è durata poco». Il barista ha cominciato ad allungare le mani, a fare apprezzamenti pesanti, sostenuto dagli amici. Una sera, il padrone è stato molto esplicito: se vuoi che ti assuma per sempre devi venire a letto con me. Lei non ci sta, e il giorno dopo va al sindacato, la Cisl. Parte la denuncia, soprattutto perché il barista, irritato per il rifiuto, neppure le ha pagato il mese di lavoro. Nasce il caso. E P. A. adesso dice: «ho riflettuto a lungo prima di decidere, però non avrei mai immaginato che le cose si complicassero così». Il paese si schiera tutto, o quasi, contro di lei. Le vicine di casa la criticano, la rimproverano: «Non dovevi denunciare niente, hai sbagliato. Se non parlavi avresti ancora il tuo lavoro, invece hai messo nei guai due famiglie». Le poche voci di solidarietà, tutte rigorosamente anonime, arrivano via telefono: «Hai fatto bene, tifiamo per te». Messaggi di conforto alternativi a minacce di morte: «Appena esci di casa, sei morta». Così i sindacalisti hanno deciso di nasconderla, ma gli amici del barista hanno scoperto l'albergo in cui era stata trasferita e così P. A. ha dovuto rifare le valigie e andarse dalla Bassa Veronese, lasciando marito e il bimbo di tre anni. Da vittima a imputata, per il paese. In realtà, due volte vittima. Franco Ruffo
Persone citate: Adele Griseri, Franco Ruffo, Veronese
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