Inferno nel rifugio dei profughi di Giuliano Marchesini

Trento: in fiamme la costruzione che ospitava gli immigrati dal Kosovo, forse una faida tra gruppi slavi Trento: in fiamme la costruzione che ospitava gli immigrati dal Kosovo, forse una faida tra gruppi slavi Inferno nel rifugio dei profughi Rogo doloso nella notte, cinque morti TRENTO DAL NOSTRO INVIATO Uno scheletro nero di travi. Appare tra le occhiaie delle finestre, sotto un costone, in questo rustico sgretolato, mezzo divorato dal fuoco. Là dentro sono morti cinque extracomunitari venuti dal Kosovo: intrappolati dall'incendio divampato nella notte, tra i materassi buttati per terra e le pareti divisorie fatte di legno e stracci. Ce n'erano centododici, in questa comunità disperata. In un angolo dello stanzone in cui si erano ricavati quelli che per loro erano appartamentini, i corpi di Gemali Bairami, 42 anni, dei suoi figli Sead e Musafer, 16 e 17 anni, dei fratelli Regep e Hagim Zakic, 17 e 18 anni. Il fuoco, l'asfissia: morti in pochi minuti. All'ospedale Santa Chiara di Trento, Alia Demir, 36 anni, e Rifat Bajrami, 18 anni: sembra che le loro condizioni non siano gravi. I loro compagni, sbandati in questo pezzo di periferìa cittadina, dicono che non può essere stata una disgrazia. E in giornata arrivano due telefonate di «rivendicazione». La prima al settimanale diocesano «Vita trentina». Una voce che pare registrata, senza inflessioni: «Europa bianca, siamo venuti per la pulizia etnica». La seconda all'abitazione di un giornalista della sede Rai di Trento. Risponde la moglie, l'anonimo domada: «C'è suo marito?». «No, è al lavoro». «Allora dico a lei: per sapere la verità, bisogna rivolgersi a Vita Trentina». Alla squadra mobile e alla Digos non sembrano dar molto credito a queste telefonate. «Sì - dice un funzionario - ci sono anche dei serbi, da queste parti. In maggioranza sono nomadi, ma non penso che da loro sia partita una spedizione per fare quella che chiamano pulizia etnica». Qualcuno parla anche di un'auto che sarebbe arrivata davanti al rustico poco prima dell'incendio, e poi sarebbe ripartita a tutta velocità. «Chissà, tutto è possibile». A Palazzo di Giustizia l'ipotesi dolosa è «considerata concreta». Ma il sostituto procuratore Bruno Giardina, che conduce le in¬ dagini, dice che è molto difficile «stabilire esattamente cosa è avvenuto questa notte». Un secondo focolaio sarebbe stato trovato nel retro, accanto a tre roulotte, a confermare l'origine dolosa dell'incendio. E tra questa gente che si raduna nello spiazzo con quel poco che è riuscita a salvare si mescolano dolore e paura. Tutti musulmani, tutti originari del Kosovo: qualcuno è stato in Bosnia, qualche altro in Croazia. Un uomo temeva di dover andare a combattere, nel territorio della ex Jugoslavia: «Prendere il fucile e uccidere uomini, donne e bambini. Per questo siamo scappati». Sono passati per le campagne, per i boschi, clandestinamente, tirandosi dietro i bambini, e sono arrivati pochi per volta in quest'angolo del Trentino. Quel vecchio rustico, tra l'autostrada e la tangenziale ovest: per loro l'ultimo squallido rifugio, i materassi in fila e qualcosa per separare una famiglia dall'altra. Si chiama «Maso Visinteiner», è una piccola azienda agricola in disuso, che sarebbe stata presto ristrutturata. I profughi, adesso, stanno seduti, stravolti, sulla terra battuta sul limitare di un campo coperto di sterpaglie. Tra i fagotti, le borse di plastica, i sacchi per le immondizie, giubbotti e maglioni bruciac¬ chiati e accatastati, i componenti di questa comunità sperduta di extracomunitari aspettano che qualcuno venga a prenderli, a portarli in qualche altro posto. Mohammed Bezak è uno dei primi venuti a stare qui, in questa striscia di terreno che s'è fatto arido. E' arrivato con la moglie e due figli, Bejet e Hairia: «Certa gente ci ha aiutato, ha portato cibo e qualche vestito. Ma gli altri, le autorità, non hanno fatto niente per noi. Prima avevamo messo le tende, qui fuori. Ma poi sono venuti i vigili e ci hanno mandati via, hanno bruciato le tende perché dicevano che erano sporche». Hanno finito per andare in centododici in quella casa mezzo diroccata. Di giorno in giro a chiedere un po' di soldi, la sera rintanati. Mohammed Bezak si dà una passata su una guancia sporca di fumo. «E stanotte è successa quella cosa terribile. Io sono tornato verso la mezzanotte. Mi pareva tutto tranquillo, mi sono messo sul mio materasso. Poco prima delle due qualcuno ha bussato alla porta. Ho detto a mio nipote: Vai a vedere chi è. Ma da fuori quello ha gridato: Non è niente, dormite tranquilli. Così mi sono rimesso a dormire. Ma dopo circa un'ora mi ha svegliato un ragazzo che gridava: Tutti via, sta bruciando la casa! Ho preso su i bambini, poi ho cercato di aiutare gli altri, mentre qualcuno è corso a chiamare la polizia. Quelli là dentro, nello stanzone, urlavano. Aiutateci, ripetevano. Ma noi non abbiamo potuto far niente». Mohammed guarda il tetto sfondato, le travi carbonizzate. «Senta, per me questa non è stata una disgrazia. Per me, qualcuno ha bruciato la casa: l'incendio è stato troppo rapido, per essere stato causato da un incidente. In cinque minuti, qui, è stato l'inferno». Lo dice anche Hasan Hasank, venuto dalla Croazia: «Forse qualcuno ha gettato della benzina e ha dato fuoco». Qualche sospetto cade anche su un uomo che era stato allontanato dal gruppo perché «creava problemi». Nello spiazzo c'è anche il sindaco di Trento, Lorenzo Dellai. «Questo - dice - è sempre stato considerato un accampamento abusivo. Gran parte di questa gente non è in regola con la legge Martelli, per molti di loro c'è un ordine di espatrio. Ma come si fa a rimandarli indietro? Adesso stiamo cercando di risolvere il problema». Vien messo a disposizione l'ostello della gioventù. Partono per primi, a bordo di un pullman, le donne e i bambini, stralunati. Restano, seduti per terra tra i fagotti e le sporte, gli uomini, ad aspettare di andar via da questo incubo. Giuliano Marchesini Molti ustionati tra i 112 ospiti ora sfollati dall'accampamento Due rivendicazioni telefoniche «Europa bianca per la pulizia etnica» i A fianco l'interno e a sinistra l'esterno del maso Visintainer distrutto dall'incendio appiccato nella notte mentre i rifugiati del Kosovo dormivano

Persone citate: Bajrami, Bruno Giardina, Demir, Hagim Zakic, Hasan Hasank, Lorenzo Dellai, Mohammed Bezak, Regep, Rifat