Esuli mujaheddin e spie Roma crocevia del terrore di Giuseppe Zaccaria

Esuli, mujaheddin e spie Roma crocevia del terrore Esuli, mujaheddin e spie Roma crocevia del terrore MILLE SIGLE COMPLOTTI FUAD è scomparso. Da due settimane, l'incubo delle sue telefonate infestava ogni giornata di lavoro. «Lei è stato a Mogadiscio, ho letto gli articoli: vorrei parlarle del nuovo movimento degli esiliati per la rinascita della Somalia». Si sa come vanno queste cose, alla fine uno cede: Fuad avrebbe dovuto presentarsi ieri mattina. Poi quando hanno ricominciato a sparare contro gli esuli, anche se iraniani, del leader della «rinascita somala» si sono perse le tracce. «Mustafà Bue Nur, capo divisione relazioni estere delle Forze Aeree», dice il biglietto da visita che da un paio di mesi era rimasto sulla scrivania. E' l'eredità di uno strano personaggio incontrato a Merka, già seguace di Siad Barre e oggi esponente di un «Somali Patriotic Movement» che dovrebbe aver sede a Ostia, in via Rio Marina. La strada è poco più di un sentiero invaso da automobili che risalgono al pleistocene. La persona che si affaccia è di colore, ma alle richieste di indicazione risponde: «Io sono eritreo», e richiude la porta con un tonfo. Da quarantott'ore sono tutte sbarrate le sedi romane di gruppi, movimenti, partiti, organizzazioni di resistenza, comitati di esuli, pseudo governi in esilio. La galassia di sigle accumulatesi in strati geologici man mano che in Africa, nel Medio o nell'Estremo Oriente continuavano a succedersi stragi e regimi, adesso corrisponde al vuoto, rivela una sorta di apnea. «Il fatto è che da sei anni a Roma il terrorismo internazionale pareva scomparso», ci viene spiegato. I tempi degli attentati in serie, degli assassinii in pieno centro, delle bombe alle sedi di linee aeree o al «Cafè de Paris» parevano lontani anni luce. E adesso, d'improvviso, un agguato che in qualche modo pare collegarsi alla nuova offensiva scatenata da New York al Cairo, da Algeri a Bombay. E' proprio questo, raccontano gli esperti cui ci siamo rivolti, l'aspetto più sconcertante dell'assassinio di Mohamed Hussein Naghdi: è come se d'un tratto sugli schermi romani ricominciassero a scorrere sequenze tratte dalla cineteca della sovversione. Chi aveva l'incarico di controllarli racconta che fino a ieri i mojaheddin di Montesacro rappresentavano il più attivo fra i gruppi di resistenti iraniani. «A ogni visita di esponenti di Teheran in Italia erano marce, proteste, sit-in con foto di per- sone torturate, e anche zuffe con studenti khomeinisti». Ecco un altro dei gruppi su cui sarebbe interessante sapere di più. Ma del manipolo di giovani iraniani che studiano a Roma col Corano sul tavolo finora si è capito molto poco. Vivono in piccoli gruppi, in piccoli gruppi sono soliti incontrarsi ogni settimana alla Camilluccia, dove ha sede il consolato della Repubblica. «Meglio però chiarire subito che nonostante siano stati seguiti, controllati, perquisiti nessuno di loro ha mai dato adito a problemi». Cominceranno adesso, i problemi: poiché dall'altro ieri è come se qualsiasi fuoruscito, ogni esponente di gruppi straneri d'opposizione (compresi quelli somali, frazionati in quattordici gruppi) si sentisse un fucile puntato contro. Guardate i libici. Fino all'altro ieri l'opposizione a Gheddafi si concentrava in due gruppi: il «Fronte di salvezza libico» e il «Fronte della libertà». Il primo forse pensava di aver superato i momenti peggiori: nell'87 uno dei suoi esponenti di maggior spicco, Yussuf Krebesh, era stato assassinato in piazza Cavour, e da allora il movimento aveva trasferito casse e «cervelli» in Egitto. Adesso nel gruppo serpeggiano angosce ancora maggiori: sfuggiti ai seguaci del colonnello, gli uomini del «Fronte di Salvezza» rischiano di essere sepolti dall'ondata di integralismo che dal Cairo ad Asyut monta come una piena del Nilo. Del secondo gruppo non restano praticamente tracce. Al vecchio numero di telefono del suo leader romano risponde una voce di ragazza che spiega con inflessione dialettale: «No, lui non c'è, e non fa più attività politica: ha aperto un negozio, di queste cose non vuole più sentir parlare». E che fine hanno fatto gli armeni di «Asala», l'esercito di liberazione che sempre a Monte- sacro aveva aperto per qualche tempo una piccola sede? O quei curdi turco-iracheni che nel '90, alla vigilia della Guerra del Golfo, avevano manifestato dinanzi alla sede romana della «Iraqi Airwais»? Defilati, trasferiti, spesso introvabili. Gli attentati compiuti dal terrorismo internazionale nelle capitali europee - afferma adesso con sicurezza Vincenzo Parisi, capo della polizia - sono pochi, e i colpevoli sono stati sempre individuati. Ma a livello più basso, qualcuno comincia ad am¬ mettere che in effetti gli ultimi anni di tregua hanno provocato qualche distrazione. «Non so se i servizi di sicurezza sappiano di più - ammette un alto funzionario - ma dei gruppi politici stranieri spesso le nostre questure non sanno più nulla». Come pochissimo si sa di quel che la Guerra del Golfo e la spaventosa crisi che ne è seguita hanno provocato in Medio Oriente. «Per difenderci da queste organizzazioni, o per difendere i loro esponenti, dovremmo anzitutto poter disporre di una mappa aggiornata. Non esiste nulla del genere. Anzi, la tendenza a nascondersi, ad assumere comunque un basso profilo, fra i pochi esponenti che conosciamo ha cominciato a manifestarsi già da qualche mese». La grande fuga degli esuli si direbbe dunque già iniziata. Decifrarne i motivi non è difficile: al libico come al curdo, all'iraniano come al giordano le notizie sulla marea montante del fanatismo erano giunte molto prima che a noi. E per quanto grottesco possa sembrare, an¬ che l'elemento economico comincia a congiurare contro la sicurezza di chi, trasferendosi in Italia, credeva di aver raggiunto un porto sicuro. Parliamo del mercato dei cambi. Chissà se qualcuno ha mai studiato le interrelazioni fra mercati monetari e andamenti del terrorismo internazionale, ma empiricamente la tendenza sembra chiara. «Cosa accadeva da noi fino alla metà degli Anni Ottanta? Migliaia di studenti mediorientali studiavano nelle nostre università grazie al cambio favorevole fra le loro monete e la nostra. Fra tanti stranieri era più facile si nascondesse il fanatico, il sicario. Poi la tendenza si era invertita: per un giordano, un iraniano, un tunisino stare da noi costava quattro volte più che in passato. Adesso la lira continua a perdere colpi, e fra breve sarà nuovamente ai livelli di otto anni fa. L'arrivo in massa degli studenti sta per ricominciare». Rispetto ad allora, la differenza è che fra di essi ci saranno molti integralisti in più. Giuseppe Zaccaria Un'immagine dell'attentato a Naghdi Qui a fianco Parisi e Mancino

Persone citate: Gheddafi, Mancino, Mohamed Hussein Naghdi, Mustafà, Parisi, Siad Barre, Vincenzo Parisi, Yussuf Krebesh