Liste d'attesa per handicappati di Maria Teresa Martinengo

In città 10 residenze, ne servono il doppio In città 10 residenze, ne servono il doppio Liste d'attesa per handicappati Una lista d'attesa di centoventi persone: la punta di un iceberg di sofferenza dalle proporzioni certamente più vaste, che resiste - finché ce la fa - tra le mura domestiche. L'elenco dei portatori di handicap psichici, che avrebbero bisogno del ricovero in una comunità alloggio, si allung$ ogni giorno di più. Lo denuncia il Coordinamento Sanità e Assistenza, che segue da vicino un gran numero di situazioni-limite risolvibili soltanto con un posto in una residenza assistenziale. «I tagli alla spesa pubblica dice Maria Grazia Breda - continuano a colpire le categorie più indifese e tra queste gli handicappati. Il Comune di Torino oggi non riesce neppure a far funzionare a pieno regime le strutture esistenti». Nella lista d'attesa, una quantità di storie drammatiche, di genitori anziani, sconvolti dalla consapevolezza di non poter più badare a un figlio tanto debole e bisognoso di cure. Ma non solo. «Le richieste riguardano - spiega un funzionario dell'assessorato comunale all'Assistenza - persone di ogni età, bambini compresi: casi gravi, gravissimi, individui con problemi comportamentali, psicotici che richiedono interventi molto personalizzati». Situazioni diverse, accomunate da un elemento: l'urgenza. «Finché è possibile - dice Maria Grazia Breda - le famiglie resistono. Ma a volte si presenta l'emergenza che avrebbe bisogno di una risposta immediata». In città sono una decina le strutture residenziali destinate agli handicappati, metà gestite direttamente dal Comune, metà affidate a cooperative. Ne occorrerebbero almeno il doppio: quelle esistenti possono accogliere fino a otto ospiti, persone per le quali la comunità diventa «casa» a tutti gli effetti ed in cui il turn-over non esiste quasi. «Servirebbe anche - dice Bruno Aimar, dell'Unione per la tutela degli insufficienti mentali una comunità con posti di residenza temporanea, per dar respiro alle famiglie in particolari momenti di difficoltà». «Il problema - osservano negli uffici di via Giulio - non sono gli spazi, ma il costo del personale. Mancano i soldi e anche le strutture ormai pronte, attrezzate, non possono entrare in funzione o non lavorano a pieno regime». Un esempio è nella Circoscri¬ zione 10. «La comunità di via La Salle - dice Maria Grazia Breda -, trasferita in strada Castello di Mirafiori alla fine dello scorso anno, ha dieci posti. In realtà ne possono essere utilizzati soltanto cinque perché per attivare gli altri servirebbero più operatori. Ma le risorse economiche per assumerli non ci sono». La denuncia del Csa tocca altre realtà: residenze chiuse per lavori e mai riaperte, comunità per minori diventate inutili che potrebbero facilmente essere riconvertite per accogliere handicappati. E su tutto questo il pericolo di un nuovo ricorso agli istituti, per disperazione. Eppure in questi anni le occasioni non sono mancate. «Nel 1988 il ministero della Sanità dice la rappresentante del Csa aveva messo a disposizione, in un triennio, 42 miliardi destinati all'apertura di residenze sanitarie assistenziali. Ma il Comune di Torino non ha presentato neppure un progetto». Maria Teresa Martinengo

Persone citate: Bruno Aimar, Maria Grazia Breda

Luoghi citati: Comune Di Torino