Torna Twiggy Londra sogna di Fabio Galvano

Dalle copertine dei Rolling Stones alla Bardot pop inventata da Laing Torna Twiggy, Londra sogna Fra scandali e Beatles, era l'età d'oro In mostra al Barbicai! i fantastici Anni Sessanta: 200 tra dipinti, sculture, fotografìe, disegni e oggetti LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Londra si crogiola al calore dei suoi fantastici Anni Sessanta come rifugio al grigiore dell'oggi perché i miti servono a cancellare gli anni. Bentornata, dunque, «Twiggy-girl», che con le sue gambe ad asparago e il petto quasi piatto domina nuovamente le boutiques di King's Road. E benvenuta, soprattutto, alla mostra allestita dalla City al Barbicar» - The Sixties, appunto - che riesuma quel grande fermento che ha poi lasciato un'impronta fondamentale su tutto il mondo occidentale. Curata dallo storico dell'arte David Mellor (resterà aperta fino al 13 giugno) è un insieme di ricordi e di riscoperte, oltre 200 fra dipinti, sculture, fotografie, disegni e oggetti. E' una carrellata su quel decennio in bilico fra protesta e cambiamento che fece della scena londinese il centro del mondo dell'arte, della musica pop e della moda. Sergeant Pepper E così, accanto alle opere di personaggi noti o da riscoprire come Anthony Caro, Robyn Denny, David Hockney, Howard Hodgkin e Bridget Riley, si trovano al Barbican le fotografie di Michael Cooper per gli album dei Rolling Stones, o l'incredibile collage di pop art - giunta a maturazione prima della pop music - con cui Peter Blake diede ai Beatles (per 200 sterline, oggi farebbe ridere) l'indimenticabile copertina di «Sergeant Pepper». E' una celebrazione degli astratti dell'epoca, focalizzati attravèrso il gruppo della cosiddetta «Situation» (dal nome delle loro due mostre di allora) che riporta in auge nomi come quello di Hodgkin o di Richard Smith, ma che ebbe la sua forza vitale in Lawrence Alloway (morto un paio d'anni fa in America), creatore fra l'altro del termine «pop art». Di quel filone ci sono significative espressioni, fra le quali primeggia Gerald Laing, che precedette di almeno un anno le «nuove tecniche» di Andy Warhol. Laing dipingeva le icone del mondo pop già all'inizio degli Anni Sessanta, traendole dalle fotografie con la tecnica della punteggiatura: al Barbican hanno recuperato la sua Anna Karina, un immenso dipinto in sei pannelli, e una Brigitte Bardot del 1963. «Andy non era ancora comparso, e neppure Roy Lichtenstein», sorride Laing. Ora fa teste di bronzo, ma il mercato lo sfiora appena. Fino a ieri era anche svanito dai libri di storia dell'arte. Le riscoperte della mostra, a parte Laing, sono soprattutto William Green, leggendario pittore «d'azione» che ispirò anche un film prima di scomparire senza traccia dalla scena artistica; Robyn Denny, un cui murale del 1959, tutto lettere e colori, è stato ritrovato nel corridoio del laboratorio di Austin Reed, negozio d'abbigliamento, ed elevato al rango di simbolo dell'intera mostra; Pauline Boty, femminista senza saperlo, tragicamente morta nel 1966 ma non prima di avere dato alcune opere - il dittico «It's a Man's World» e l'indimenticabile ritratto di Marilyn, «The Only Blonde in the World» - che sono fra i punti di forza scelti da Mellor per la sua rassegna. E poi i disegni geometrici di Bridget Riley. E infine molte fotografie. Sono le fotografie di quella Londra che soltanto nel 1966, quando così la battezzò in una celebre copertina il settimanale Time, diventò «swinging». E sono forse, di quell'epoca d'oro, la vera celebrazione. A cominciare dal celebre ritratto (1963) di Christine Keeler, nuda a cavalcioni di una sedia, con cui il fotografo Lewis Morley diede una pedata alle ulti¬ me remore vittoriane della pudica Inghilterra promuovendo a eroina il personaggio nero dello scandalo Profumo. L'Inghilterra si liberava in quel momento dei falsi pudori vittoriani che ancora avvolgevano il capitolo del sesso; si preparava, con la rivoluzione delle sue mode e del suo costume, anche a una rivoluzione sessuale fatta non solo di una morale più libera ma anche di favorevoli situazioni obbiettive come la diffusione della pillola. E la Keeler, spregiudicata squillo che si muoveva nel mondo dell'aristocrazia, della diplomazia e della politica, fu dissacrante simbolo del cambiamento. La satira politico-sociale di Gerald Scarfe e Ralph Steadman, i due più significativi cartoonists degli Anni Sessanta, si fonde con la cronaca fotografica di un'epoca: il primo calendario Pirelli (1964) con cui Robert Freeman inaugurò un filone d'oro nel mondo della fotografia; o le foto dei Beatles di Linda McCartney. Ma più che i singoli elementi, quella del Barbican è come una congiura anonima, nel nome dell'archeologia moderna, per riscoprire gli eroi di un mondo che chi lo ha vissuto come chi scrive - ricorda in termini concreti e familiari, senza gli appannaggi del mito a cui oggi un'Inghilterra senza veri modelli vorrebbe aggrapparsi. Ricordate Jean Shrimpton, colta fugacemente alla mostra con una foto di David Bailey che la ritrae in una via di New York? Fu lei, prima di Twiggy e più bella di Twiggy, a impersonare la figura della «London girl» e a lanciare le minigonne di Mary Quant, quando le boutiques di King's Road tentavano di lanciare le loro follie fatte di musica e di colori e di lampi luminosi, e quando Carnaby Street era ancora la via dei tabaccai. James Bond e Ken Russell Era l'epoca in cui Londra era indiscutibilmente «in», dopo il grigiore degli Anni Cinquanta. Macmillan, Hume, Wilson si susseguivano a Downing Street, perpetuando quel grigiore; ma a due passi, da Trafalgar Square, le orde di un'Inghilterra giovane e liberata combattevano le loro battaglie in nome dei loro nuovi idoli. Era la Londra che il mondo ammirava, la Londra dei fermenti anche politici (le marce antinucleari di Bertrand Russell). Era la Londra del nuovo cinema, di James Bond e di Ken Russell, di Michael Caine e di Julie Christie; e infatti Michelangelo Antonioni venne qui per il suo «Blow up» con Terence Stamp e Vanessa Redgrave, ritratto storicamente fedele di quella nuova società che si riconosceva anche nelle due ninfette (una era, anzi sarebbe diventata Jane Birkin) antesignane della «Biba girl». Il fenomeno Biba fu invenzione di Barbara Hulanicki e di suo marito Stephen Fits-Simon. Per 12 anni, dal 1963 al 1975, avrebbe dettato la moda della Londra giovane con le sue barnboline giovani c belline col nasino all'insù, piatte e con la spalle squadrate, il volto ovale e grandi occhioni foderati di rimmel, in alternativa urbana alla rilassata moda hippie dei «figli dei fiori». Oggi la riecheggiano anche i grandi nomi internazionali: Karl Lagerfeld a Parigi, Anna Sui a New York, Dolce e Gabbana a Milano. Ma è a Londra che la «Biba girl» rivive, con Twiggy sui mensili in carta patinata (le foto sono di allora, ma sembrano fatte ieri): la bamboletta yé-yé ma con un tocco romantico, spregiudicatezza e femminilità, labbra color seppia, palme e art déco attorno a sete fluenti e a colori sgargianti. Biba visse, cambiando in rapida successione quattro negozi e ingigantendosi; finché morì come muoiono tutte le mode. Ma finché resse fu, per quella Londra, un faro (e fino al 6 giugno è una mostra, a Newcastle). Non meno dei Beatles e dei Rolling Stones, fu protagonista di quell'intensa vita serale che aveva in Annabel's il suo fulcro e che richiamava anche dall'America tutti i grossi nomi dello spettacolo. La Londra di Mick Jagger e delle sue donne, delle stranezze e dell'allegria, assisteva senza neppure accorgersene alla nascita di un mito che regge ancora oggi e che, dal Barbican, ammicca seducentemente ai nuovi grigiori. Fabio Galvano Le minigonne di Mary Quant, le marce di Bertrand Russell e il «Blow up» diAntonioni Torna TwFra scandalI Rolling Stones A sinistra: Mar/ Quant, inventrice della minigonna Sotto: Twiggy, il «grissino» e un primo plano di Christine Keeler Dalle copertine dei Rolling Stones alla Bardot pop inventata da Laing Le minigonne di Mary Quant, le marce di Bertrand Russell e il «Blow up» diAntonioni I Rolling Stones A sinistra: Mar/ Quant, inventrice della minigonna Sotto: Twiggy, il «grissino» e un primo plano di Christine Keeler