Il grido dei libri

Il grido dei libri Il grido dei libri Isuoi capolavori, le tragedie F IN da II dio di Roserio Testori sceglie un mondo elementare e colorito istintivo e intimamente violento, attraversato da voglie crude e spietate. Il protagonista, un ciclista che vuole fare carriera, elimina il concorrente facendolo cadere e riducendolo a un relitto. Testori inventa per lui un monologo popolaresco, dialettale e pregrammaticale, gremito di situazioni e di oggetti concreti, perché il personaggio non può andare oltre nella sua organizzazione di pensiero. L'ambientazione è la provincia lombarda, mentre il mondo popolare cittadino è oggetto di romanzi come II ponte della Ghisolfa, La Gilda del Mac Mahon, fitti di personaggi tesi al soddisfacimento degli istinti, di figure violente e equivoche in cui domina l'intenzione dell'ascesa sociale e economica a tutti i costi. Il fabbricone è, da un lato, più naturalistico, ma anche più accanitamente accusatorio e predicatorio. Più tardi viene il romanzo Passio Letitiae et Felicitatis, dove Testori riprende il genere cristiano della «passio», ma lo immerge nella tetra e dolorosa campagna che gli è cara, riempiendola di furore e orrore. E' tuttavia nel teatro che Testori ha raggiunto risultati straordinari. Dalle prime opere, La Maria Brasca e LArianda, a La monaca di Monza a teatro, con il personaggio manzoniano oggetto di una furiosa raffigurazione come eroina della solitudine che si ribella alla legge del sesso. I capolavori sono le tre tragedie Ambleto, Macbetto e Edipus, che rinnovano radicalmente il genere. In un linguaggio aspro, espressionistico, del tutto inventato fra arcaicità e dialettalità, l'autore riesce a superare tutte le difficoltà che la tragedia ha incontrato nel '900 ricreandola in un linguaggio basso e convulso, ma conservandone il valore di messaggio esemplare e eroico. Il motivo di fondo è l'infinito dolore che è la nascita e l'unica soluzione possibile che è il porre fine al ciclo della vita, l'interruzione della catena nel rifiuto di generare ancora. Questo discorso si svolge attraverso bagliori improvvisi, grida, maledizioni con un gusto straordinario della cupezza, dell'orrore, del disfacimento. Dopo I promessi sposi alla prova, Testori si è rivolto a motivi di più evidente ispirazione religiosa, come xìsWInterrogatorio a Maria, ma conservando sempre la singolarità del suo anticonformismo tragicamente negativo. Sono gli stessi caratteri della sua poesia, da I trionfi fino a Per sempre e a Diademata. Testori ha sempre amato il furore del predicatore sacro che minaccia sfacelo e distruzione, anche alla sua città, Milano, immersa nella corruzione, come appare nel breve romanzo Gli angeli dello sterminio. Certo, Testori è scrittore ostico, sgradevole, crudele per eccesso di passione e di violenza, per estraneità totale alle convenzioni e alle convenienze. Parla del peccato col furore del predicatore, maledice la nascita in quanto frutto dell'accoppiamento che per lui è intrinsecamente disgustoso, rappresenta il marcio della vita con accanimento, si inventa una lingua deforme e informe, di fronte alla quale l'espressionismo di Gadda appare moderato. Tutte ragioni che radicalmente lo distinguono dall'altra letteratura novecentesca. Perfino quando divenne popolare per il sostegno dei giovani cat¬ tolici, questo fu dovuto alla ragione estrinseca della sua conversione, non all'accettazione vera e chiara della sua opera. Con tutto ciò, Testori è uno dei pochissimi scrittori del nostro '900 davvero originale, che aveva molto da dire e ha saputo in ogni occasione inventarsi il linguaggio più adeguato per dirlo. Anche là dove si avverte in noi il ritegno a seguirlo nelle sue grida di orrore, tuttavia si avverte sempre, dietro, un rovello di pensiero e di scrittura che non è mai comune né ripetitivo né risaputo. La sua opera è certamente un segno di contraddizione: ma ce ne sono tanto pochi nella letteratura del '900 da dovergli incondizionata ammirazione e spesso convinto riconoscimento. Giorgio Bàrberi-Squarotti

Luoghi citati: Milano, Monza