LA PITTURA
LA PITTURA LA PITTURA Critico passionale fra odio e amore 1ER Giovanni Testori non si dava vero atto critico senza profondità e spessore d'amore o di odio. I Questo approccio passionale all'arte impronta già alla radice la sua comparsa sulla scena milanese: l'articolo su Pattuglia del 1943, nell'ambito culturale dell'eredità di Corrente, con la presa di posizione sullo «scandalo minore» della Pietà di Cassinari accanto a quello «maggiore» della Crocifissione di Guttuso. E' una decisa militanza, in una temperie cattomarxista tipica del tempo, che lo porta nel 1945 fra i firmatari del manifesto «Realismo. Oltre Guenùca» e agli interventi critici su Numero e Numero pittura del 1946 e 1947, centrati sulla coppia MorlottiCassinari, e in particolare sul primo, che restò sempre uno dei suoi tipici «cult-painters». Negli stessi anni, gli studi all'Università Cattolica di Milano con Costantino Baroni lo accostarono all'arte cinque-settecentesca e alla scuola di Roberto Longhi, a cui fu (di nuovo) passionalmente ancor più che metodologicamente legato: una passionalità che però non inficiava una personalissima rimeditazione sulla «scrittura» del maestro. Coerentemente, l'ambito di riferimento di questi studi era legato al «genius loci» della nativa Lombardia fino alle terre di confine piemontese, novaresi e valsesiane, e venete, bergamasche e bresciane: Gaudenzio Ferrari (la mostra vercellese del 1956, con la Brizio, la Griseri, Malie; il libro capolavoro, il Gran Teatro montano del 1964) e Tanzio da Varallo (la mostra torinese del 1959); le mostre del Manierismo piemontese e lombardo (Torino 1955) e dei Pittori della Realtà in Lombardia (Milano 1953), con Longhi e Renata Cipriani, a cui Testori fu molto legato e la cui precoce scomparsa segnò profondamente la sua vita; le mostre torinesi dei ritratti del Ceruti (1967), con Malie, e di Fra' Galgano (1970). Le mostre e i relativi cataloghi furono suo preferenziale mezzo di comunicazione, sul solido fondamento dei saggi, fra appassionata scrittura e filologia di conoscitore, pubblicati su Paragone specie negli Anni 50, fra cui primeggiano il Francesco del Cairo e il Carlo Ceresa ritrattista nel 1952. Non vi era per lui vera separazione fra critica-storia dell'arte, poesia, narrazione, azione drammatica, «parole» diverse ma complementari del dramma esistenziale fra vita e morte, spirito e carne. Ne sono prova fra le più alte i versi dedicati a Tanzio da Varallo e Carlo Borromeo nel primo poema, I Trionfi del 1965. La stessa passione del giovane vicino a Corrente e dello studioso e poeta dei ((pestanti», i pittori della Milano borromea, ritornò poi nel critico d'arte anche contemporanea del Corriere della Sera, intransigente difensore della sua idea di un'arte di verità e espressività umana. Alla sua prosa coinvolgente si poteva forse solo rimproverare di essere una sorta di drammatica singoiar tenzone fra il critico e l'opera dell'artista maggiore o minore, che afferrava ma nello stesso tempo escludeva il lettore. Marco Rosei
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