Aggredito da una folla nostalgica come «bugiardo e servo di Boris»
DIÀRIO DI MOSCA Aggredito da una folla nostalgica come «bugiardo e servo di Boris» r DIÀRIO DI MOSCA MOSCA IEI che ci fa qui?». Un giovane iroso mi apostrofa con astio mentre cerco di farmi largo a fatica in una folla soffocante di gente che vuole entrare nel Teatro artistico-accademico, sullo Tverskoi boulevard. Non gradisce, si vede, la presenza del giornalista occidentale. E non è l'unico. Attorno vedo solo espressioni ostili. Raggiungere l'ingresso mi è impossibile. In sala gli operatori non entrano. La televisione russa resta fuori. A tutti tocca una buona dose d'insulti. Ai russi un po' di più: «Bugiardi, dite solo menzogne! Servi di Eltsin!». Dentro, stipati fino all'inverosimile (mi racconteranno), ci sono i «lettori di Sovietskaja Rossija», riuniti per celebrare il secondo anniversario di quel referendum che, con il 76% dei voti, decise che «l'Urss non si tocca». C'era ancora Gorbaciov al potere e quel referendum fu certamente pilotato dal pcus, ma molti votarono «col cuore in mano». E qui ci sono loro, esasperati, incattiviti. Ci sono i comunisti, in gran parte anziani. Ma ci sono anche i monarchici, quelli di «Pamiat», che da noi si chiamerebbero senza difficoltà fascisti, ci sono i «patrioti». E sono giova¬ ni. Quando mi ritraggo, sconfitto, dall'abbraccio soffocante di cappotti consunti, di logore «sciapke» di coniglio, di giubbotti di finta pelle, un signore distinto mi avvicina. «Lei da dove viene?» Glielo spiego, asciugandomi il sudore. «Vede, 10 sono qui in mezzo a questa gente, anche se non sono d'accordo con molti di loro. Pensano - come Eltsin, ma, a differenza di lui, con speranza - che 11 comunismo è di nuovo alle porte. Invece non si rendono conto che sta arrivando una tempesta nera. Eppure sono qui anch'io, perché quello che i nuovi capi hanno fatto di questo Paese non si può accettare. Lei che ne dice? Dovrei restare a casa?». Io non ne dico niente. Osservo. Tra poco devo «girare» lo «stand-up» davanti alla telecamera. Devo provare a spiegare a telespettatori e lettori l'in¬ quietante sensazione che provo: che qui siamo alla vigilia di grandi sconquassi, che questa gente non sembra vedere più in là della porta del teatro, ma anche che il Presidente non riesce ormai a vedere più in là delle mura del Cremlino. Si accendono i fari. Il microfono è pronto. Comincio con le parole di Boris Eltsin: «L'Occidente non si è reso conto che il pericolo revanscista era reale. Non ha capito che sta tornando il comunismo». La folla, rimasta fuori, mi si stringe attorno con aria minacciosa, qualcuno spinge, qualche manrovescio svolazza nell'aria senza raggiungermi. «Vergogna! - grida una signora anziana -, siete voi che avete suggerito a Eltsin di distruggere il nostro Paese». «Quale revanscismo! - grida un altro -, ci derubano, si prendono gioco di noi!». Penso che l'altro giorno il mio amico Nikolai Shmeliov era tranquillo mentre mi diceva che in Russia la guerra civile non verrà mai più. Ma leggo che i comunisti del «pcus rinnovato» hanno fatto un loro sondaggio e hanno scoperto che il 10% degli interrogati «sono pronti a prendere le armi in mano». Giulietta Chiesa jsaj
Persone citate: Boris Eltsin, Eltsin, Giulietta Chiesa, Gorbaciov, Nikolai Shmeliov
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