« Anche Scalfaro era nel sistema »

« A « Anche Scalfaro era nel sistema » Andreotti: non lo vedo come fustigatore NELLA DC AROMA LLA fine Giulio Andreotti esce allo scoperto e dà voce al malessere de. Del presidente Scalfaro che si lascia andare a rimbrotti un giorno «sì» e uno «no» contro la classe politica, l'ex-presidente del consiglio dice: «Ancora un anno fa Scalfaro, nelle sue vesti di presidente della Camera, era il più strenuo difensore del Parlamento e della dignità di chi lo impersonava. Mi riesce difficile "interpretarlo" adesso come fustigatore della classe politica... Sa che cosa mi colpisce maggiormente della demonizzazione che oggi si fa del sistema? Che i più virulenti nelle critiche sono quelli che per decenni ne hanno fatto parte. Ne erano i degni rappresentanti, mica venivano dall'esilio?» Su Francesco Cossiga, invece, Andreotti dà solo giudizi positivi, accompagnati da una promessa per il futuro: «E' una personalità politica fuori dalla mischia e in quanto tale potrebbe esercitare un ruolo coagulante». Tradotto tutto questo significa: Scalfaro sta sbagliando, Cossiga è una speranza. E le parole di Andreotti non sono altro che la fotografia di un sentimento diffuso nella de, e non solo nella de. Eppure neanche un anno fa era l'esatto contrario: Scalfaro era il paladino del Parlamento in rivolta contro il «gran picconatore» Cossiga. Cos'è successo da allora? Semplice: la de, o meglio ancora, la classe politica che si è sentita assediata, aggredita dai giudici di Tangentopoli, ha l'impressione di essere stata tradita da Scalfaro che non ha fatto niente per aiutarla, mentre ha individuato in Cossiga un possibile difensore, l'uomo che potrebbe «traghettare» il vecchio sistema verso il nuovo. E' una scelta disperata, da ultima spiaggia, che però sta facendo proseliti malgrado l'attuale segretario, Mino Martinazzoli, faccia finta di niente. Anche ieri, nel giorno in cui i giornali danno la notizia che Riccardo Misasi è sotto indagine per associazione a delinquere, che il cappio fa la sua prima comparsa ad opera dei leghisti nell'aula di Montecitorio e che il consiglio nazionale de viene convocato con l'invito agli inquisiti a non parteciparvi, non è difficile incontrare nel Transatlantico di Montecitorio deputati de furibondi con Scalfaro e quasi entusiasti di Cossiga. «Vedrete - spiega l'ex-ministro Gaspari - Scalfaro ci farà rimpiangere Cossiga. Il Capo dello Stato parla 2-3 volte al giorno e sembra preoccuparsi soprattutto di fare una propria campagna elettorale. Né credo che questo comportamento sia dettato da un obiettivo preciso: Scalfaro non ha niente in testa, è sempre stato un gregario, non ha classe». «Io - rileva Franco Mazzola, vicecapogruppo dei senatori - non l'ho votato perché sapevo come è fatto: lui è un sagrestano, uno che si nasconde». «Qui sono tutti gonfi - dice Nenna D'Antonio, confidando l'umore del gruppo de della Camera -, non se ne può più. Come fa uno come Scalfaro che è stato per quarant'anni parlamentare e ministro a far finta di non sapere come andavano le cose». Cossiga, invece, è diventato quasi un divo in quella folla di disperati. «Io sono pronto ad andargli dietro se lui innalza la bandiera» sbotta Adriano Biasutti, uno degli uomini di Martinazzoli. «L'unica chance che abbiamo - ammette Calogero Marmino - è Cossiga. E' l'unico che capisce le cose in anticipo. Io glielo dissi a Forlani che la mafia stava infiltrandosi nei servizi segreti. Lui mi rispose: "Sembra un romanzo di Le Carré". E adesso, invece, siamo andati ben oltre la mia fantasia». Per non parlare poi dei vari Cirino Pomicino, Goria, Tabacci, D'Onofrio, Leccisi e così via che appena un anno fa bestemmiavano in turco solo a sentire il nome di Cossiga e che, invece, ora ne tessono le lodi e vanno in processione a far visita al possibile «traghettatore». E tutto questo non avviene solo nella de. Pochi passi più in là, nel settore del Transatlantico dove passeggiano socialisti, liberali e socialdemocratici si sentono gli stessi discorsi. Da una parte il socialista Franco Piro, grande estimatore di Cossiga, parlotta con Michele Zolla, consigliere di Scalfaro. Subito dopo spiega: «Gliel'ho detto a Michele. Se Scalfaro non si muove i capestri che hanno portato in aula saranno usati per le strade. Il fatto è che il Presidente sembra uno che è arrivato in paradiso dimenti- cando di esser passato per il purgatorio. Ho l'impressione che lui, uomo di destra, pensi di diventare l'ultima sponda a cui si può rivolgere il popolo». Allora giù Scalfaro e su Cossiga, ma per cosa? Tra parole, discorsi e sfoghi, c'è qualcuno che si muove da mesi e altri che si muovono da poco, per far scendere in campo il «gran traghettatore». Principale sostenitore del «gran ritorno» è lo stesso Andreotvi, che lo vorrebbe a Palazzo Chigi o, comunque, in un ruolo di primo piano. Poi, ci sono i cinquantenni della de come Pomicino, Mannino, Scotti, D'Onofrio. Nel psi, invece, in sintonia con Andreotti si sta muovendo da qualche settimana Rino Formica che teorizza un nuovo governo «istituzionale impuro» perché presieduto da un ex-presidente della Repubblica, cioè proprio Cossiga. E lui Cossiga che fa? Ci sta? Naturalmente, il «gran picconatore» dice di «no», dice di non essere disponibile. Spiega che è più facile che a Palazzo Chigi approdi Martinazzoli, Spadolini o Napolitano. Ma intanto si guarda in giro e cerca lui stesso quei pochi che non vanno in processione da lui. Come Ciriaco De Mita, ad esempio. Racconta lo stesso exsegretario de: «L'ho incontrato, per la prima volta dopo i nostri dissapori, un mese e mezzo fa alla presentazione di un libro al Senato. Poi, Francesco mi ha richiamato ma appena gli ho detto che non doveva dire più cattiverie sul mio conto, ha riattaccato il telefono. Adesso so che lui dice in giro che sono stato io a riattaccare, ma non è vero». Ma, al di là di questi rapporti difficili, Cossiga ha stretto di nuovo i legami un po' con tutti nella de. I «cinquantenni» li ha già incontrati un mese e mezzo fa nella villa di Pomicino sull'Appia proprio per parlare del suo futuro. In quell'occasione non ha detto né «sì», né «no» sull'idea di andare a Palazzo Chigi. Ha spiegato solo di non poter diventare l'uomo della sola de e ha ricordato ai suoi interlocutori di avere rapporti difficili con Camillo Rumi, il presidente della Cei. A parte questo, tutti i presenti hanno avuto l'impressione che il periodo di studio dell'ex-Capo dello Stato era finito e che il personaggio aveva l'intenzione di tornare in battaglia. Da allora, sono passate diverse settimane e già si vocifera di una nuova cena tra Cossiga e, questa volta, tutti i capi democristiani, da Andreotti a Fcrlani, sempre a villa Pomicino. L'unico, a quanto pare, ad avere declinato l'invito in partenza, manco a dirlo, è stato sempre il solito De Mita. Augusto Minzolini Parte del partito contro il Presidente «Vedrete, ci farà rimpiangere perfino Cossiga» Qui a fianco: il presidente Oscar Luigi Scalfaro A sinistra: Giulio Andreotti