NON PAGO IL PIZZO SOGNO LA LIBERTA

NON PAGO IL PIZZO SOGNO LA LIBERTA NON PAGO IL PIZZO SOGNO LA LIBERTA Capo d'Orlando: Tano Grasso legge Abbate Uno scrittore testimone della lolla contro la mafia. Nel libro «Capo D'Orlando. Un sogno fatto in Sicilia» (Theoria, pp. 102, L. 14.000) Fulvio Abbate ha raccontalo la resistenza civile dei cittadini al ricatto del pizzo, in quel comune del Messinese. Abbiamo chiesto di leggere per noi il racconto-reportage di Abbate a Tana Grasso, «commerciante di scarpe, eletto deputalo», che di quella esperienza è stalo leader e cronista, nel saggio «Contro il racket», edito ranno scorso da Laterza. LA scorsa estate ho scritto un libro per raccontare l'esperienza della rivolta contro il racket dei commercianti di Capo d'Orlando. Ma non sono riuscito a trovare le parole per esprimere, con una sola frase, il senso di quell'esperienza. Queste parole le ha trovate Fulvio Abbate: perché la rivolta dei commercianti è «un'autentica rivoluzione borghese». Opporsi al racket dell'estorsione significa, in primo luogo, affermare un principio fondamentale dell'epoca «borghese», quello della libertà del mercato. Chi impone il pizzo distrugge le basi dell'economia. Chi paga il pizzo è un'impresa, rispetto alle altre, notevolmente danneggiata. E' un'impresa non più libera, né «eguale» alle altre. Non solo: dalla pratica dell'estorsione si giunge, assai frequentemente, alla espropriazione dell'azienda. Non è un caso che la mafia sia più radicata nelle zone meno sviluppate del Paese. Dove c'è mafia non può esserci sviluppo economico. Quando i commercianti di Capo d'Orlando decisero di denunciare i loro estorsori, difendevano il proprio diritto a lavorare in pace, a realizzare profitti, a investire ricchezza. Abbate è tentato dall'insinuare che non si è trattato altro che di «difendere la propria roba, la stessa roba di Mastro Don Gesualdo». Ma non è così. Se il movente immediato della rivolta si è legato «all'interesse», l'efficacia della battaglia è dipesa dall'incontro di questo interesse con la dimensione dei valori. I valori hanno costituito la bussola in questo viaggio di libertà. Il valore della giustizia, che non deve mai essere l'invocazione della vendetta. Il valore della pace, che non può mai essere esercizio di una qualunque forma di giustizia privata. Il valore della solidarietà, che non può mai essere difesa egoistica della propria roba. Non sono, forse, proprio questi i valori dell'89? Ha o non ha Capo d'Orlando un «cuore calvinista»? Anche qui, Fulvio Abbate insinua. Magari esagera. A me non piace porre l'accento sulla diversità di Capo d'Orlando, quasi si trattasse di una comunità idilliaca. Capo d'Orlando non è Utopia. Ha una sua dimensione storica, è in un luogo assai definito. E' una comunità, per tanti aspetti, controversa e contraddittoria. Non sono degli eroi i commercianti di Capo d'Orlando. Soprattutto non vogliono esserlo. Semplici, uomini normali. Che, come giustamente scrive Abbate, hanno capito che combattere la mafia è per loro «soltanto una necessità per la sopravvivenza di una città e della sua civiltà». Sono stati obbligati ad avere speranza. La speranza è una scelta Nei tanti incontri con gli studenti siciliani, mi sforzo sempre di rappresentare la speranza come una scelta. Nessuna persona, per natura, nutre disperazione invece che speranza. E' di ogni essere umano l'aspirazione a «vivere meglio», a lottare per migliorare la propria vita. Sarebbe paradossale pensare che, proprio nel momento in cui si è animati da questa aspirazione si disperasse nella fiducia di una società migliore. Noi uomini ragionevoli siamo obbligati alla speranza. Anzi, è proprio dalle si- tuazioni estreme, dalla più profonda disperazione che muove la speranza. Uomini normali dicevamo, purtroppo simboli. Per sconfiggere la mafia non servono i simboli. Una lotta combattuta dai simboli sarà sempre perdente. Perché il simbolo, in fondo, è la maschera che copre la vigliaccheria di chi delega ad altri il non volersi assumere una responsabilità in prima persona. Tutti devono diventare simboli, perché, solo così, non ci saranno più simboli. Le Capo d'Orlando d'Italia devono essere cento, mille. Il futuro di questa esperienza, vissuta con coraggio e con intelligenza, in questo piccolo paese della Sicilia, dipende solo da questo. La sfida si decide tutta fuori Capo d'Orlando. Questa piccola comunità di cittadini non può più sostenere il peso di essere simbolo. I suoi uomini hanno davvero bisogno di tornare alla normalità. E subito. Quando si parla di mafia non si può essere neutrali. Bisogna sempre schierarsi, come ha fatto Fulvio Abbate. Il suo, è un libro «militante» che servirà a fare conoscere ai tanti cittadini d'Italia che è possibile combattere e sconfiggere l'estorsione. Restando uomini normali. Non è facile andare avanti, ha ragione padre Totino, il consigliere spirituale dell' Acio, quando parla di una «marcialonga gramsciana». Ho scritto un libro anch'io, con l'ossessione della sfida. Come andrà a finire questa esperienza? Quali prezzi si dovranno pagare ancora? Di questi tempi una sola certezza: siamo in viaggio... abbiamo intrapreso un cammino... su un guscio di noce nella tempesta... Una rivoluzione borghese. Non solo, però: anche «un sogno di libertà». Grazie Fulvio, anche tu, con noi, con tanti altri, hai vissuto questo sogno che, sempre più, diventa realtà. Tano Grasso

Luoghi citati: Italia, Laterza, Sicilia