I TROVATORI donne, amore e cortesia

I TROVATORI donne, amore e cortesia I TROVATORI donne, amore e cortesia quindi intertestuali) è consegnata da Maria Luisa Meneghetti ad una ricerca che piacque tanto al pubblico degli specialisti da andar presto esaurita quando apparve, nel 1984, presso Mucchi di Modena, in una collana destinata ai filologi romanzi, e che oggi, riproposta da Einaudi nei «Saggi» riveduta e aggiornata (27 pubblico dei trovatori, pp. 329, L. 50.000), sedurrà certo quel più largo pubblico colto che il libro indubbiamente merita. Il pubblico dei trovatori vince con eleganza in un'impresa non sempre agevole: sintetizza l'alta qualità nella conoscenza delle fonti e nell'uso degli strumenti filologici e storiogràfici (in particolare la «teoria della ricezione» stabilizzata dalla cosiddetta scuola di Costanza) e una scrittura suadente, capace di argomentare con rigore senza invischiarsi negli eccessi di maniera nel gergo specialistico. E' la prima volta che, con tanta ampiezza di prospettiva, la poesia trobadorìca viene esaminata contemporaneamente dalla parte dell'autore e da quella del pubblico. Il risultato è una precisa stratigrafia dell'originalissimo processo di ricezione «attiva» che, stabilizzandosi e lentamente adattandosi nel tempo alle variate esigenze sociopolitiche, rappresenta la straordinaria peculiarità della cultura poetica provenzale. Il libro della Meneghetti analizza con attenzione filologica e con sapiente misura l'intreccio socioletterario di liriche difficili e rarefatte, che dialogano l'uria con l'altra (e spesso «contro» l'altra) nel vivace orizzonte d'attesa del pubblico d'elite, composto agli inizi dagli stessi circoli poetici entro i quali i messaggi della cortesia cifrati in versi si diffondono, vengono reinterpretati e mutano di senso, ritornano indietro per una rinnovata gara d'intelligenza formale-ideologica, assumendo così, ben presto, le caratteristiche del codice segreto, del rituale iniziatico. Ma anche quando, riesaminando una tradizione di ricerche ormai più che secolare, affronta un tema delicato quale l'antitesi fra storicizzazione dell'esperienza lirica di ogni autore e astrazione di un'idea di testo comune, collettivo, anonimo, non s'avventura mai oltre i confini del documentabile: e rinuncia ad «aggiornare» il suo lavoro, dieci anni dopo la prima stesura, nella direzione che pur sarebbe facilmente prevedibile, quella su cui insiste un Bernard Cerquiglini {Eloge de la variante. Histoire critique de la philologie, Seuil, Paris 1989, di prossima traduzione presso Pratiche) della variance come forma tipicamente medievale di testualità senza autore, e della produzione di «un surplus de texte ed de sens» nell'«excès joyeux» che è «appropriation joyeuse par la langue maternelle de la signifiance propre à l'écrit». E quindi, con opportuna prudenza, la Meneghetti rimane entro la sogli a di un'idea di testo autoriale anche quando esamina l'organismo poetico «unitario» nato nel circuito tradizione-circolazione-parodizzazione, e non cede mai a seduzioni del genere «decostruzionismo» quando smonta il rito illusionistico della performance, verificando come nel circolo testuale-sociale cortigiano esso generi il miraggio per cui «appropriarsi del canto significa pure appropriarsi di tutta la realtà che il canto sembra sottintendere», cosicché «il modello retorico diventa modello comportamentale», e «le ristrette cerchie dei fruitori della lirica trobadorìca diventano i punti d'elaborazione e di diffusione di un coerente, ancorché artificiale sistema di vita». Lo studio del modello poetico e testuale dei trovatori conduce, in questo libro, anche a guadagni cospicui in altri ambiti affini: l'esame del suo assorbimento-adattamento nelle corti francesi del Nord e, soprattutto, in quell'ini petibile esperienza politico-letteraria che fu la Magna Curia Siciliana dei funzionari-poeti che riprendono il discorso trobadorico non come «scelta démodée», ma per la «volontà di sintonizzarsi su un ben preciso livello di discussione»; alcune proposte ori ginali sul meccanismo di formazione del corpus (pseudo)biografico trobadorico e dei cicli di miniature che illustrano alcuni bei codici cortesi, nati entrambi in ambienti assai lontani nel tempo e nello spazio dai castelli pròven zali originari, ad esempio nelle corti venete, e immediatamente riletti in chiave narrativa dalla cultura che genererà il Novellino e il Milione, i cantari in ottava ri ma e i grandi volgarizzamenti dal latino e dal francese. Come i «castelli d'amore» edificati dai signori tardo-feudali di Treviso, subito imitati dai buoni, grassi borghesi di Padova e di Venezia, così anche le immagini che rìdono dai fogli di costosa pergamena dei manoscritti realizzati fra tardo Due e primo Trecento, e le vite immaginarie che cristallizzano in mitici exempla le passioni e le avventure attri buite ai trovatori ormai «antichi» sulla base delle loro stesse poe sie, testimoniano il desiderio ostinato degli ultimi fruitori del la poesia cortese «di conoscere, interpretare e ricreare un mondo che ormai non c'era più». Corrado Bologna wbbticu fggio Uìbliio veti ori» li Luisa telwlli

Persone citate: Bernard Cerquiglini, Corrado Bologna, Curia, Einaudi, Maria Luisa Meneghetti, Meneghetti, Milione, Mucchi

Luoghi citati: Modena, Padova, Treviso, Venezia