SIMONE WEIL LOTTA CON DIO di Enzo Bianchi

SIMONE WEIL LOTTA CON DIO SIMONE WEIL LOTTA CON DIO La riflessione mistica negli ultimi Quaderni lìsce da Adelphi il quarto e ultimo volume dei Quaderni di Simone. Weil (pp. 62*, L. IH.000), dicuipublic.hiamo in anteprima alcuni passi. I Quaderni sono curati da Giancarlo Gaeta, autore del saggio Simone Weil (Edizioni Cultura della Pace, pp. 1SS, L. 18.000). L'editore «Le Lettere» pubblica infine tulle le Poesie di Simone Weil (a cura di Roberlo Carijì, con testo a fronte, pp. 7S, L. 12.000)^ LA mistica - scrive Simone Weil - è il passaggio al di là della sfera dove il bene e il male si oppongono, e questo tramite l'unione dell'anima con il bene assoluto» (Cette guerre est une guerre de religions, in Ecrìts de Londres et dernières lettres). Nella Weil c'è un'inquietudine pressante che attende e che cerca la pace, c'è un senso di infelicità profondo che anela alla gioia e che tenta di giungere a una definitiva pacificazione, in uno sforzo di costante vigilanza e apertura per assumere anche il male in un senso più profondo che lo oltrepassi. Di famiglia ebrea non praticante, Simone Weil (1909-1943) giunge alla fede cristiana, anche se non al battesimo, in un travaglio che proprio nel mistero della sofferenza trova nel contempo l'origine e la pace. Di condizione borghese benestante, resta lacerata dalla costatazione della grande sofferenza che invade la vita degli uomini e cerca di diventarne partecipe, condividendo la situazione degli ultimi, soprattutto nell'ambito del lavoro e delle lotte sociali e politiche. Di conseguenza si getta in esperienze molteplici e rischiose, fino a condurre una vita di stenti, bruciata da un duplice desiderio: da un lato trovare un senso alla vita dell'uomo - attraverso un appassionato e strenuo impegno filosofico -, dall'altro condividere, assumendola, la sofferenza brutale degli uomini del suo tempo: «Volere l'esistenza dell'altro significa immedesimarsi in lui per simpatia e quindi condividere lo stato di materia inerte in cui si trova» {Attesa di Dio, Rusconi). Si direbbe che più soffre e più si sente in comunione con la sofferenza degli uomini. Così afferma: «Il dolore diffuso sulla superficie della Terra mi opprime e mi ossessiona al punto di annullare le mie facoltà, e non posso recuperarle né liberarmi da questa ossessione se non ho anch'io una larga parte di pericolo e di sofferenza» (Lettera a Maurice Schumann). Ciò che forse però le è mancato in questo suo travaglio è stato la coscienza che l'autentica partecipazione al dolore altrui si verifica quando la sofferenza non è cercata, ma accolta come l'inevi¬ tabile prezzo di una fedeltà fino alla fine, che porta il peso, insieme alla gioia, di una durata nel quotidiano. E forse è stata questa mancanza, questo vuoto a frammentare, fino a spezzarla a soli trentaquattro anni, la vita di Simone. Ciò che nobilita l'uomo non è la sofferenza di per sé, ma la capacità di soffrire nella libertà, e dunque di amare: questa la vera accoglienza del mistero, questa l'unica vera possibile mistica. Simone Weil infatti non si compiace del proprio tormento, ma si apre in una capacità di dono e di spossesso di sé che arriva fino - ed è la cosa più difficile - a spossessarsi del proprio dolore: «Ogni essere umano durante la sua vita ha senz'altro conosciuto parecchi momenti in cui ha chiaramente confessato a se stesso che quaggiù non esiste il bene. Ma non appena ha intuito questa verità, la ricopre di menzogna. Molti si compiacciono di proclamarla, cercando nella tristezza un godimento morboso, ma non hanno mai potuto sopportare di guardarla in faccia per più di un secondo. Gli uomini sentono che c'è pericolo mortale nel soffermarsi a guardare in faccia questa verità. Ed è vero. Questa conoscenza è più mortale di una spada, infligge una morte che fa più paura di una morte fisica. Col tempo essa uccide in noi tutto ciò che chiamiamo "io". Per sostenerla bisogna amare la verità più della vita». [Attesa). E Simone parla di questo amore al cuore di ogni sofferenza: «La grandezza suprema del cristianesimo viene dal fatto che esso non cerca un rimedio sovrannaturale contro la sofferenza, bensì un impiego sovrannaturale della sofferenza». (L'ombra e la grazia, Rusconi), poiché «la croce è l'inferno accettato» (La connaissance surnaturelle, Parigi 1950). Infatti, «è proprio nella sventura che risplende la misericordia di Dio, nel profondo, nel centro della sua inconsolabile amarezza. Se perseverando nell'amore si cade fino al punto in cui l'anima non può più trattenere il grido: "Mio Dio, perché mi hai abbandonato?", se si rimane in quel punto senza cessare di amare, si finisce col toccare qualcosa che non è più la sventura, che non è la gioia, ma è l'essenza centrale, essenziale, pura, non sensibile, comune alla gioia e alla sofferenza, cioè l'amore stesso di Dio. A quel punto si comprende che la gioia è la dolcezza del contatto con l'amore di Dio, che la sventura è la ferita del contatto stesso, quando esso è doloroso, e che ciò che importa è solo questo contatto, non il modo in cui avviene». (Attesa). Dio si incontra in questa lotta di cui Simone, che morrà di stenti ma senza alcun rifiuto, osa dire quando ancora è in salute e vive in famiglia - queste straordinarie parole: «L'agonia è la suprema notte oscura di cui anche i perfetti hanno bisogno per la purezza assoluta, e perciò è meglio che sia amara. Dopo un'agonia perfettamente e puramente amara l'essere scompaia in un'esplosione di perfetta e pura gioia» (Quaderni 3, Adelphi). Ecco, allora, la sua conclusione «mistica» - cioè concretamente obbediente al mistero -, che illumina il testo citato in apertura: «Dio ha creato per amore, e ai fini dell'amore. Dio non ha creato altro che l'amore stesso e i mezzi dell'amore. Ha creato esseri capaci di amore a tutte le distanze possibili, lui stesso - poiché nessun altro poteva farlo - è andato alla distanza massima, alla distanza infinita. Questa distanza infinita fra Dio e Dio, strazio supremo, dolore che non ha pari, miracolo d'amore, è la crocifissione. Nulla può essere più lontano da Dio di ciò che è stato reso maledizione. Questo strazio, al di sopra del quale l'amore su premo crea il legame dell'unione suprema, risuona in perpetuo attraverso l'universo, in fondo al silenzio, come due note separate e fuse, come un'armonia pura e straziante. E' la Parola di Dio, Quando la musica umana, nella sua massima purezza, penetra nella nostra anima, è proprio que sto che percepiamo attraverso di essa. Quando abbiamo imparato ad ascoltare il silenzio, è questo che, nel silenzio, cogliamo più direttamente» (Attesa). Secretimi meum mihi: sì, c'è in Simone un segreto, un mistero che per noi resta un enigma: questa credente di origine ebrea vive in profonda affinità con le grandi tradizioni religiose ma respinge, a volte violentemente, proprio la sua: la fede ebraica. Approdata alla fede cristiana fino a speri mentare l'unione con Gesù nella preghiera, tuttavia non giungerà mai a farsi battezzare: in lei c'era il desiderio, la fame dei sacra menti e tuttavia non approdò alla ricezione di questo dono. Perché? Un sì a Cristo, un no alla Chiesa? Simone se n'è andata, lasciandosi morire, ma sapeva molto di più sul suo segreto... Enzo Bianchi

Luoghi citati: Adelphi, Lettere, Parigi