I TROVATORI donne, amore e cortesia
I TROVATORI donne, amore e cortesia I TROVATORI donne, amore e cortesia LA prima stagione, intensissima, della civiltà moderna maturò all'inizio del XII secolo, fra la colonizzazione cistercense delle immense foreste europee e l'edificazione delle cattedrali gotiche. Lontana ancora la stagione dei grandi viaggi in Oriente, delle scoperte di continenti inattesi, i mistici e i filosofi presero allora a descrivere la mappa di un universo segreto, scoperto nei misteriosi spazi dell'interiorità, negli interstizi fra le ossessioni della dogmatica, dell'etica e della speculazione teologica. Si svelarono gli abissi delle passioni e dello smodato riflettere su di sé, sugli ondeggiamenti irrefrenabili del proprio «dentro». Si misurarono le sconfinate rapine che possono perpetrare «nell'uomo» (ossia «all'interno» di quello spazio senza limiti né regole che s'incominciava a definire io) il demone meridiano delì'acedia, quelli notturni della tentazione e della disperazione, o l'abbandono all'eros e alle visioni, o l'estasi, o l'eccesso del desiderio inappagato. Allora il poeta prese a dichiarare che la sua parola, al pari degli oracoli antichi, non «dice», bensì accenna, allude, s'intreccia con altre parole per coprire di voci la pesantezza quotidiana delle «cose» e trascinarla «dentro» l'individuo. In quella svolta epocale nacque, in sostanza, l'io moderno: corpo-individuale-che-sente-epensa, individuo ardente e cogitante entro il cui perimetro corporeo si ricapitola e si schiarisce l'intera esperienza dell'Universo. E fu plasmata l'idea moderna di una parola forte abbastanza da condensare, definendola, quell'esperienza totale: però impropriamente, rinunciando all'assoluto, in cambio della sofferta conquista d'un provvisorio in grado d'entusiasmare altrettanto, e forse ancor più. Proprio nello stesso giro d'anni, e dietro la spinta di affini ragioni culturali e sociali, nelle corti francesi, in particolare in quelle meridionali, l'mgentilimento dei costumi e l'affinamento di un'originale sensibilità esteticoletteraria conducevano a rapida maturazione la metamorfosi anzitutto antropologica, che usiamo chiamare, appunto, cortesia, e che segnerà la civiltà europea per almeno mezzo millennio. La cortesia si proponeva come un sistema insieme di idee e di comportamenti. L'idea di fondo era che l'espressione libera e liberatoria, vitale, drammatica della propria segreta individualità consiste nell'amore: in un amore «fino», cioè conquistato e affinato dopo un lungo esercizio interiore, un'iniziazione che insegni ad estrarre dal silenzio le parole «giuste», equilibrandole fra l'ardore dello slancio e il rigore della comunicazione. Queste parole, il poeta saprà tradurle in canto offerto a Lei: cioè alla Donna e all'Amore stesso (nelle due lingue della Francia antica Amore è vocabolo femminile, quindi naturalmente predisposto al sot- tile gioco di parole). Paradossalmente, per adeguarsi a quell'idea, i comportamenti presto si conformarono ad uno stile manieristico, artificioso. Al centro della corte, circondato dalla schiera dei cortigiani e, soprattutto, degli altri poeti insieme con i giullari, i musici e i giocolieri, il Poeta innamorato canta le lodi della Dama e si esibisce così in una performance virtuosistica. Durante questa performance la sua voce intona, nel canto di ammirazione e di attesa per la Donna che, in estremo atto di soggezione feudale, viene invocata al maschile (Midons: «Mio Signore»), un'esaltazione capace di portare alle stelle insieme Lei e il Poeta stesso, proprio grazie al suo nuovo ruolo di servitore fedele, di lodatore disinteressato e devoto. E altrettanto paradossalmente, è Yinchino ad emancipare, mediante l'attribuzione di un nuovo statuto sociale e politico, oltre che ideologico e letterario, il Poeta che si proclama «servitore» di Midons, dimostrandosi masochisticamente pronto a sottoporsi a qualunque prova pur di dimostrare l'amore «fino» che a Lei (a «Lui», a Midons!) lo lega. Il solo ricambio, l'unica ricompensa che il Poeta cerca è lo sguardo in risposta al proprio: cioè il riguardo che lo legittima nella veste che egli ambisce assumere. Dinanzi a Midons, a quel soggetto contraddittorio, utopico luogo di desiderio e di potere, di esclusione e di annessione, il trovatore inventa il suo oggetto, e con esso reinventa se stesso. Anzi, se stesso nel gruppo dei poeti che operano nella corte, scambiandosi doni e sfide testuali, come segni contraddittori di autonomia e di dipendenza dell'atto creativo. Finché il corpo desiderato e sognato di Midons torna ad essere per metafora ciò che metonimicamente aveva condensato in sé: il Castello, lo spazio della Corte in cui la parola del Poeta circola, sempre identica nel manierismo dell'iterazione intertestuale e sempre nuova nel variare sottile delle forme entro la salda tenuta della «materia». Un'analisi sofisticata dell'universo trobadorico, e soprattutto del vastissimo, complesso reticolo simbolico che avvolge la «performance Urica» e le relazioni fra i poeti (dapprima interpersonali, Linoni il. «Ili dei ti di Mi Mei
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