Evangelisti eroe di Tangentopoli

Evangelisti eroe di Tangentopoli Evangelisti eroe di Tangentopoli Ma nell'80 partiti e giudici chiusero gli occhi m ■■ .; ;■: ■■■ UN PROFETA DI MANI PULITE LA cosa più curiosa (ma in fondo per nulla illogica) è che la mia ormai antica intervista a Franco Evangelisti, passata alla storia minore del nostro Paese come «A Fra', che te serve?», resti inchiavardata nella dimensione di un fatto di costume. Invece, sia l'intervista in sé che le conseguenze che ne derivarono e le reazioni che (non) provocò, furono e restano in qualche modo fatti moralmente e politicamente esemplari. Torno sull'argomento dopo avere letto alcune dichiarazioni dell'onorevole Evangelisti in cui, carico di livore e sofferente nel fisico, mi dà del «cane», un insulto molto diffuso nei Paesi di lingua e cultura araba. Lo fa stizzito, e anzi infuriato per il fatto che io abbia ricordato quell'evento, vecchio ormai di 13 anni, su un supplemento di «Panorama» dedicato alla corruzione politica. E la reazione di Evangelisti mi spinge a tornare sul tema, per restituire l'episodio alla sua verità, che è questa: Tangentopoli era viva e operante già nel 1980 e il ministro della Marina Mercantile Evangelisti fu reo confesso del reato di finanziamento illecito dei partiti. La cosa straordinaria, per non dire scandalosa, è che quella confessione suscitò riprovazione per lo stile rozzo e provinciale, deplorazione per l'impudenza vernacolare, fastidio, imbarazzo, ma non ci fu un solo giudice che, disponendo della «notitia criminis», trovasse il fatto degno di un'inchiesta, un'ipotesi di reato piccola così. Ora, Evangelisti mi chiama cane, ma io vorrei fargli sapere che 10 considero un agnello sacrificale per conto di tutti gli altri. E dico tutti gli altri invece di alludere al solo Giulio Andreotti, perché Evangelisti, spiegando come un imprenditore usasse visitare periodicamente la sede ufficiale della de per firmare assegni a tutti gli uomini politici che 11 chiedessero, aveva scoperchiato Tangentopoli. Inoltre, mi aveva spiegato che l'imprenditore firmava l'ultimo assegno del suo giro al segretario, oggi sulla soglia della beatificazione, Benigno Zaccagnini, detto dagli estimatori «l'onesto Zac». L'intervista fu una scelta di Evangelisti per tentare di ridurre i danni di quanto aveva pubblicato «l'Espresso» e cioè le matrici di alcuni assegni ad Evangelisti emersi durante lo scaldalo Italcasse. Eugenio Scalfari, direttore di «Repubblica» dove io lavoravo, mi affidò il servizio. Andai al ministero di cui Evangelisti era ministro, all'Eur e l'uomo politico, che non avevo mai visto né conosciuto, mi accolse con calore eccessivo e sospetto dandomi subito del tu. Quando estrassi il taccuino mi fermò con un gesto autorevole e disse: «L'intervista la famo dopo. Prima te spiego come stanno le cose: qua, chi più e chi meno, avemo rubbato tutti. E quando dico tutti, dico tutti: hai capito?». Non era difficile capire. Passò quindi al sapido racconto di Caltagirone che apriva il carnet, svitava la stilografica e chiedeva sorridendo: «A Fra', che te serve?». Mi raccontò che poi lui stesso, Evangelisti, portava Caltagirone a fare il giro delle sette chiese delle correnti e poi nella basilica maggiore del segretario. Poi, con tono paterno e condiscendente mi autorizzò ad aprire finalmente il taccuino: «Allora, a questo punto tu me chiedi: onorevole Evangelisti, com'è 'sta storia de 'sti soldi de Caltagirone? E io rispondo: il problema non è tanto questo, quanto quello più generale di una maggiore trasparenza che bla bla bla...... Obiettai, accomiatandomi: lei si rende conto del fatto che tutto ciò è violazione della legge sul finanziamento dei partiti? Risposta: «Embè? Perché? L'altri che fanno? Non lo fanno tutti? Che uno nun po' pijà i sordi da chi je pare?». Mi avvertì che mi avrebbe telefonato il giorno successivo da Bruxelles dove aveva una riunione con i ministri della Cee, ed effettivamente telefonò per farsi leggere il testo dell'intervista. Ascoltò in un silenzio rotto dal suo stesso respiro e dal clic-clic della teleselezione internazionale. Alla fine era disperato: «Ma tu così me rovini, questa è 'na condanna a morte». Risposi: al contrario, questa è la confessione storica di un politico coraggioso. Tu (mi ero acconciato anch'io al «tu») oggi puoi dare l'esempio e aprire finalmente il capitolo della corruzione e del malaffare». Sapevo che invece lo avrebbero fatto a pezzi e che nessuno avrebbe seguito l'esempio. Mi chiese come ultima grazia, di togliere la parte che riguardava Zaccagnini e lo accontentai perché mi sembrava che ne avesse diritto. Oggi, visto che Zaccagnini è morto e già veleggia per occupare un posto fra le schiere dei beati, mi sento esonerato da quella pretesa. Evangelisti fu costretto a dimettersi, e qualche tempo dopo ebbe un ictus. Non godo per nulla sapendolo malandato. Ma questa è la verità, nella sua dolorosa modestia. Il fatto è che Evangelisti fu punito per la sua scompostezza. Ma nessuno ebbe da ridire sul reato di finanziamento illecito, e forse di corru¬ zione e/o concussione ambientale, anzi ambientacelo. Nel corso del convegno che Flores D'Arcais volle organizzare, nel Centro Studi Mondo Operaio del psi di Craxi, raccontai questa storia con larga dovizia di particolari e accenti vernacolali che qui ho tralasciato. Una troupe del Tg2 registrò il mio racconto che fu mandato in onda e visto da milioni di persone. Allora Evangelisti, che non si era ancora dimesso dal governo, telefonò alla direzione di «Repubblica» per protestare e purtroppo un difetto tecnico dell'impianto diffuse le sue parole in amplifono, sicché furono udite da mezza redazione: «Hai capito che fijo de 'na mignotta m'hai mandato a intervistamme? Li mortacci sua...». Patriarcale e grave rispose la voce di Eugenio Scalfari: «Franco, moderati. Non dimenticare che sei un ministro della Repubblica». Lo fu per poco, perché dovette dimettersi alla svelta. Ma nei suoi confronti non fu elevata neanche una contravvenzione per divieto di sosta. Paolo (Suzzanti Ministro della Marina Mercantile fu reo confesso del reato di finanziamento illecito ai politici A sinistra: Benigno Zaccagnini Qui di fianco: Franco Evangelisti A destra: Andreotti

Luoghi citati: Bruxelles, Caltagirone