I socialisti riscoprono le faide Giugni eletto dopo una rissa di Augusto Minzolini

I socialisti riscoprono le faide Giugni eletto dopo una rissa I socialisti riscoprono le faide Giugni eletto dopo una rissa RETROSCENA IL GAROFANO LACERATO ROMA. Tarda sera di domenica a via del Corso, vigilia d'assemblea nazionale. La stanza è sempre quella che prediligeva Bettino Craxi per le riunioni importanti, quella al quinto piano del palazzo con la statuetta di Garibaldi a cavallo. Pure gli uomini sono gli stessi, a parte l'ex-segretario e il suo ex-delfino Claudio Martelli (uscito dal partito). La novità è rappresentata, però, da un altro fatto: nel psi targato Craxi uno solo decideva e, spesso, era anche l'unico che parlava; in quest'altro, invece, appena abbozzato, targato Benvenuto, le discussioni sono interminabili, tutti parlano o, addirittura, straparlano. E anche sulla candidatura di Gino Giugni alla presidenza del partito, data per scontata da una settimana, c'è chi alza la mano per dire di non essere d'accordo. Comincia Ugo Intini e la sua uscita è un ultimo tributo a Craxi, che prima di essere investito dalla bufera di Tangentopoli si era ritagliato l'incarico di presidente del partito per la vecchiaia. «Perché - chiede Intini - dare questo incarico a Giugni? La presidenza di norma va ad un padre del partito, a qualcuno a cui il psi deve molto. O, altrimenti, si da per garantire l'unità interna. Non mi sembra che una presidenza Giugni risponda ad uno dei due casi». Bastano le parole di Intini a dare il «la» agli altri. Signorile, Babbini, Formica esprimono i loro dubbi. Anche Enrico Manca dice la sua, ma lui se la prende in verità più con Valdo Spini, capocordata di Giugni nella geografia interna del partito, che non con il candidato: «Ma cosa vuole questo Spini che punta sempre all'osso? Ha una corrente del 4 per cento e si è già preso un posto da ministro e la presidenza del partito». Di fronte a questi discorsi il mite Benvenuto è quasi costretto ad intervenire con un piglio più deciso del solito: «La candidatura di Giugni è un'esigenza - dice -. Eppoi questa è la mia volontà, altrimenti me ne vado». Povero Benvenuto, sa quante volte dovrà minacciare le dimissioni in futuro per far ascoltare la sua. voce. Nel psi del «dopo-Craxi», infatti, tutti vogliono contare, vecchi e giovani. Tornano a galla i tratti del psi di un tempo, quello delle trattative estenuanti, dei tanti, troppi giochi, delle notti inson- ni. E la nostalgia dei tempi andati, del psi pre-craxiano, correntizio e assemblearista, è talmente forte che fa dimenticare anche la realtà di un partito sull'orlo dell'abisso. Sì, non importa il futuro, adesso i socialisti vogliono, soprattutto, dimenticare Craxi. E se a Londra Amato fa sapere di non credere che l'ex-segretario possa avere «un futuro politico», a Roma, qualche giorno fa, Benvenuto ha escluso a priori che Craxi possa ricandidarsi alle elezioni: «Come fa a farlo se non può mettere il naso fuori di casa?». Ma più che le parole sono i comportamenti a testimoniare un dato: per un periodo questo i psi sarà «l'antitesi» di quello appena passato. Solo con questa idea in testa, con questa chiave di lettura, si può comprendere quello che è avvenuto ieri nello scenario dell'ex-cinema Belsito. Lì tra specchi, stucchi e riflettori, non c'è più come un tempo un solo protagonista, ma tutti, ma proprio tutti, vogliono un po' di notorietà e la propria fetta di successo. C'è Giorgio Casoli che appena entrato, guardando quella sala piena solo per metà, non trattiene una battuta al vetriolo: «Siamo pochi - sbotta - perché gli altri sono in galera». C'è Tamburrano che «per avere un po' di pubblicità», come insinua Intini, propone una mozione impossibile per questo psi: tutti gli esponenti a cui è stato recapitato un avviso di garanzia - è la sua proposta - dovrebbero uscire dagli organismi dirigenti. C'è Pierre Camiti, tornato in auge dopo anni di esilio, che dispensa consigli al nuovo segretario: «Ha fatto una buona relazione, ma sul rinnovamento del gruppo dirigente io mi sarei comportato in maniera diversa: io avrei fatto subito i nomi di chi vorrei con me al vertice del partito. Lui, invece, si è messo a trattare e su questa strada, visto che ha di fronte capitani di lungo corso, per lui sarà difficile». In questa grande confusione, in questo mare agitato, naturalmente, chi rischia di più sono i vecchi, o quelli considerati tali. Molti di loro, infatti, che con la fine di Craxi speravano in un ritorno alla gloria di un tempo, corrono il rischio di finire nel dimenticatoio. Si tratta dei vari Claudio Signorile, Gianni De Michelis, Rino Formica, Enrico Manca. Signorile ha dovuto dire addio all'idea di dirigere l'Avanti! De Michelis, invece, ha qualche timore in più: qualcuno dice che Benvenuto non lo vorrebbe neanche nell'«esecutivo», cioè nell'organismo che di fatto dovrebbe assumere gli stessi compiti che oggi ha la direzione. E per salvarsi l'ex-vicesegrctario non può che legare il proprio destino a doppio filo con quello degli altri vecchi capi: «Non è vero spiega - che la nomenklatura, come la chiamate voi, voglia resistere. Noi vogliamo solo aiutare questo poverino a gestire il passaggio più diffìcile. Del resto io l'ho detto a Giorgio: io sono pronto a farmi da parte per aiutarlo nel rinnovamento, ma insieme a me devono farlo anche Formica, Signorile, Manca. Non può essere certo seguito il criterio giudiziario. Anche perché la tempesta non è ancora finita e ci possono essere altre ondate di avvisi di garanzia». «Povero Benvenuto»: se c'è un'espressione che ricorre spesso nei discorsi della platea di Belsito è proprio questa. «Povero, perché non ce la fa», come dice Dell'Unto che vuole un congresso al più presto. O «poveretto perché fa quello che può», come ridacchia Signorile. Ma non c'è da sorprendersi: probabilmente, i vecchi capi, lo hanno scelto proprio per questo. Ecco perché se si vorrà fare ascoltare in futuro il «poveretto» dovrà minacciare non una volta, ma tante, di andarsene. Solo così potrà far ragionare questo psi. Augusto Minzolini Intini: «Perché dovremmo dargli l'incarico?» Ma il segretario ha minacciato le dimissioni: «Questa è la mia volontà, altrimenti me ne vado» Da sinistra Gino Giugni l'ex segretario Bettino Craxi e Ugo Intini

Luoghi citati: Belsito, Roma