Corrotti e corruttori due pesi e due misure di Beniamino PlacidoGianni Vattimo
Corrotti e corruttori due pesi e due misure POLEMICA Corrotti e corruttori due pesi e due misure LA mia posizione sulle responsabilità dei politici e degli imprenditori coinvolti in Tangentopoli sarà anche discutibile, ma non così inverosimile come la dipinge Beniamino Placido nella sua rubrica [la Repubblica del 14 marzo). Potrò anch'io, filosoficamente, meravigliarmi che Placido salti a pie pari una distinzione che pure ho fatto ripetutamente sia a Milano-Italia del 9 marzo, sia in precedenti articoli sulla Stampa? Si tratta della distinzione tra responsabilità morale e responsabilità penale, una distinzione a cui * credo Placido dovrebbe tenere quanto me. Ho sostenuto che sul piano penale occorre semplicemente applicare la legge vigente, senza alcuna scappatoia del tipo del decreto Amato-Conso; mentre, sul piano morale, considero molto più biasimevole il politico tangentaro o concussore che il manager compiacente o complice che sia. E ho avanzato per questa convinzione varie ragioni: per esempio, e anzitutto, che i politici li abbiamo eletti noi, sono quelli a cui abbiamo affidato il potere legislativo e in generale il funzionamento delle nostre istituzioni per il bene comune. Pure penalmente (ma possiamo anche lasciar da parte questo aspetto) tutto ciò dovrebbe costituire, per loro, un'aggravante: o Placido pensa di no? In fondo, il mio ragionamento è solo - sul piano morale e non su quello penale, meglio ripeterlo - il rovescio di quello di Martinazzoli (che Placido non condivide) e di Parlato (con cui Placido forse sarebbe disposto a una maggiore 1 indulgenza), secondo cui il fiI ne politico giustifica i mezzi illegali del finanziamento. Per me, il fine politico aggrava la colpa; mentre, di fatto, con il meccanismo dell'immunità parlamentare, i politici hanno fin da principio un trattamento di favore. Quanto alla tesi per cui le grandi industrie, se hanno pagato i partiti di governo, lo hanno fatto non solo e non tanto perché costrette e concusse, ma per un'abitudine presa durante la guerra fredda (per evitare i cosacchi in piazza Castello, dice Placido), anch'essa non mi sembra così ridicola. E' vero che questa abitudine era motivata anche da paure e preoccupazioni più private e meno nobilmente antitotalitarie; e soprattutto, come del resto ho detto nella stessa trasmissione, è durata troppo a lungo, giacché la classe imprenditoriale ha cominciato solo da poco (dai tempi del referendum) a non identificare più completamente i propri interessi con quelli dei partiti di governo. Anche in considerazione di ciò, pensavo e penso che, invece di abbandonarsi all'indignazione buona per tutti gli usi, sia (politicamente) opportuno coltivare le distinzioni, e in particolare distinguere la responsabilità dei politici corrotti da quella degli imprenditori, giacché solo quando questi ultimi avranno preso le distanze dall'attuale sistema di potere sarà possibile aspettarsi una vera trasformazione della vita pubblica italiana. E' un'idea strategicamente tanto inverosimile? E comunque, vi si può opporre solo la troppo ingenua meraviglia di Placido? Gianni Vattimo mo^J
Persone citate: Conso, Martinazzoli, Parlato
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