Pavarotti, sfida a Los Angeles

Pavarotti, sfida a Los Angeles Canta a Venezia per 250 milioni e il 1° aprile debutta alla Scala ne «I pagliacci» Pavarotti, sfida a Los Angeles Al Mundial con i «rivali» Carreras e Domingo VENEZIA. Cinque arie d'opera e due canzoni, dosate nel numero e nell'emissione della voce: senza strafare. Cinque arie e due canzoni per le quali pare abbia percepito 250 milioni. Pavarotti, che aveva come partner il soprano Caterina Antonacci, riconquista il Teatro la Fenice di Venezia (da cui mancava da vent'anni), affittato da un'etichetta d'acqua minerale che è poi sponsor del Concorso ippico di Modena. Il recital era collegato in diretta con gli schermi del Palazzo del Cinema e dell'Arena del Lido. «Una furtiva lacrima», «Il lamento di Federico», «Che gelida manina», il duetto «Parigi o cara», «Pourquoi me réveiller» e «O sole mio» e «Torna a Surriento»: Pavarotti colpisce ancora dopo le critiche che gli erano piovute addosso per l'infelice «prima» di Don Carlo alla Scala e lo sfortunato concerto di Dusseldorf. Meno grasso (sembra di dieci chili), riposato, rinfrancato «dopo trent'anni è la prima volta che mi riposo nel fisico, ma anche psichicamente», re Luciano ha già archiviato il concerto a inviti di Venezia ed ora prepara il suo rientro alla Scala, il primo aprile, con l'opera «I pagliacci» di Leoncavallo, diretta da Riccardo Muti. La macchina-Pavarotti si muove come un meccanismo ad orologeria perfetto: è stato quindici giorni ai Caraibi, s'è rosolato al sole, ha fatto salutari bagni, dieta strettissima ordinatagli dall'amico professor Stratta, per cui a Venezia s'è concesso sogliole, grissini e... acqua minerale, ma non ha perduto di vista gli affari: in particolare la presentazione del ed «I pagliacci», che l'anno scorso incise a Filadelfia sempre con Riccardo Muti sul podio. Alla Scala sarà un debutto di tutt'altro genere: sotto forma scenica, la difficilissi- ma opera farebbe tremare le vene ai polsi anche al più ferrato liricospinto del passato. Pavarotti dice dell'infelice «Don Carlo»: «Quei giorni ero in fuori gioco, è stata l'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il '92 è stato un anno massacrante, pieno di impegni incredibili, ero arrivato a un punto in cui non riuscivo più a metabolizzare niente. Se con Muti non andavamo bene d'accordo musicalmente parlando, la colpa è stata sicuramente mia perché lui è un accompagnatore eccellente. Per questo quando il sovrintendente della Scala Fontana, dopo la storia dei fischi, mi ha detto: "Chiudiamo il loggione", io gli ho chiesto se era pazzo: il loggione è il polmone del teatro, dà il polso delle serate. Se una va male, bisogna essere fischiati, è una regola che vale per tutti, o almeno dovrebbe essere così». I Caraibi inducono alla ragione anche il vorace «Pava»: mare, grigliate di pesce, niente zuccheri, niente alcol, poco pane e molte nuotate («Mi sento come un centrattacco, come quando avevo 18 anni») gli hanno fatto tornare la voglia di palcoscenico: potrebbe anche andare in porto il progetto di ripetere l'esperienza del concerto di Caracalla in cui Pavarotti cantò insieme con Domingo e Carreras: «Dovrebbe svolgersi a Los Angeles, nel luglio dell'anno prossimo, in occasione dei Mondiali di calcio. L'idea è quella di interpretare a turno, nei vari ruoli, come se si trattasse di una gara, tre opere diverse: "Otello", "Elisir d'amore" e "Tosca". L'esperienza di Caracalla, che non ci ha fruttato nulla economicamente, è stata meravigliosa. Sarebbe bello poter- la rivivere». Esperimenti e contaminazioni fanno parte da sempre dell'attività di Luciano Pavarotti: «So che secondo molti queste cose sono nocive, ma io ho una stanza piena di lettere di gente che, prima di vedere il concerto di Caracalla alla tv, non sapeva neanche cosa fosse la lirica. Adesso lo sa. Se questo è nocivo...». E cosa dice Pavarotti delle polemiche sui compensi ai cantanti, giudicati da alcuni troppo elevati? «La nostra è una professione difficile, ci pagano benissimo, ma le cifre sono dichiarate, sotto gli occhi di tutti. Spero che, quando ci esibiamo, possiamo dimostrarci all'altezza dei nostri compensi». Ma Pavarotti è anche il simbolo dell'Italia all'estero: «Ci prendono in giro scherzosamente perché siamo latin lover e ne sono un po' gelosi; quanto ai discorsi politici, le persone che io conosco hanno avuto il buon gusto di non farmeli. Con Clinton non sono ancora andato a pranzo, rna ricordo che Bush aveva manifestato molto stupore vedendo il modo con cui noi mandavamo a casa tanti parlamentari che hanno contribuito a fare la nostra storia. Siamo imprevedibili. Comunque ammiro i politici, perché, credetemi, è più facile fare i cantanti e i giornalisti». Dopo il periodo difficile, Pavarotti ha qualche timore all'idea di ritornare sul palcoscenico della Scala? «Prima di ogni recita provo sempre uno spavento terribile. Ma è la bellezza di questa nostra professione: l'essere sempre studenti, pronti ad affrontare l'imprevisto ogni giorno, e tesi a fare sempre bene per essere giudicati meglio». [f. c.l Successo per il tenore che così commenta la passata crisi: «In quei giorni ero in fuori gioco, Dopo i fischi, Fontana mi ha detto: "Chiudiamo il loggione", gli ho chiesto se era pazzo» Luciano Pavarotti annuncia: «In America per i Mondiali di calcio del 1994 gareggerò a turno con Domingo e Carreras. Eseguiremo brani tratti da "Tosca", "Elisir" e "Otello". Sarà una bella gara, rivivremo la serata di Caracalla»