La «Diceria» che piace all'America di Simonetta Robiony

La «Diceria» che piace all'America L'Italia Io ha snobbato, ora esce negli Usa il film tratto dal romanzo di Bufalino La «Diceria» che piace all'America Diretto da Cino ha come manager Franco Nero ROMA. Curioso destino questo di «Diceria dell'untore», il film che Beppe Cino ha tratto dal romanzo di Gesualdo Bufalino: in Italia è passato sotto silenzio mentre all'estero è stato venduto senza difficoltà alcuna. Interpretato da un gruppo di attori importanti tra cui Fernando Rey, Franco Nero, Vanessa Redgrave e Lucrezia Lante della Rovere, «Diceria» non ha avuto in Italia l'appoggio di una grande casa di produzione. La Surf di Massimo Vigliar s'è infatti appoggiata alla Rai e al Luce il quale, quando alla fine del 90 s'è trovato a distribuire il film, lo ha fatto stampandone solo sei copie e tenendolo nelle sale appena il tempo che ne giustificasse l'uscita. A Palermo, città dove Gesualdo Bufalino è assai amato, fu piazzato in una sala della borgata Tommaso Natale, sprecando con questa scelta una buona occasione per far soldi. Agli stranieri invece il film è piaciuto: mezza Europa l'ha comprato e distribuito ma l'hanno voluto anche in Giappone, in America Latina, nella Corea, in Canada, conquistati da quell'atmosfera asfittica e dolorosa da universo chiuso, che Bufalino prima e Beppe Cino poi hanno saputo tanto bene ricostruire. Adesso, caso eccezionale per un film italiano, «Diceria» esce anche negli Stati Uniti, terzo film italiano di questi mesi dopo «Volere volare» di Nichetti e «Ladro di bambini» di Amelio ad ottenere il raro privilegio. Artefice del piccolo miracolo è stato soprattutto Franco Nero che lo ha fatto vedere in giro, lo ha fatto entrare nella rosa dei film candidati al Globo d'oro, s'è battuto perché anche il pubblico potesse conoscerlo. Dal 19 di marzo «Diceria dell'untore» sarà al «Monica 4» di Los Angeles in contemporanea con la consegna degli Oscar, testimone silenzioso della voglia di sopravvivere che ha il cinema italiano. Intanto anche le tv americane si sono fatte vive per comprarne i diritti e quindi, in un modo o nell'altro, il film avrà una sua vita americana più consistente di quella avuta in patria. Ma perché il film è piaciuto di più all'estero che da noi? Beppe Cino ipotizza per l'attenzione che gli stranieri hanno per l'Italia degli anni della guerra, la denuncia della violenza inutile che taglia esistenze giovani e piene di speranza, l'interpretazione appassionata degli attori. Vanessa Redgrave, alla quale il festival di Cherbourg ha dedicato un omaggio, lo ha voluto mettere tra i suoi sette film migliori. «In Italia senza una produzione forte alle spalle come quella dei Cecchi-Gori in sala un film non riesce a reggere: lo smontano subito», dice Cino, che però non ha molto tempo per concentrarsi su questa sua vittoria. Alla fine del mese esce «In viaggio verso Est», il film che ha girato in Bulgaria con Massimo Venturiello per raccontare la tragedia di un Paese ex comunista visto con gli occhi di un comunista italiano. E ai primi di maggio cominciano le riprese di «Un bel dì vedremo», con Fernando Rey, Irene Papas, Toshiro Mifune, una storia ambientata in una casa di riposo per artisti nella quale viene presa la decisione di allestire con le proprie forze l'opera di Puccini. Il film nasce da un soggetto di Kon Ichikawa, il regista di «L'arpa birmana». Ichikawa lo ha proposto alla Nhk, la tv pubblica giapponese, che ha deciso di finanziarlo con altri soci, giapponesi e non, che si occuperanno della distribuzione nelle sale. Fin dall'inizio i giapponesi avevano stabilito che l'ambientazione fosse italiana, e in un primo momento avevano pensato di farlo interpretare da Alberto Sordi. Ma com'è che sono arrivati a Beppe Cino? Anche qui c'entra «Diceria dell'untore». L'hanno visto, gli è piaciuto, hanno chiamato Cino ed è nato il film. Simonetta Robiony Franco Nero ha fatto entrare «Diceria dell'untore» nei candidati al Globo d'oro