Hugo affascinato dagli spettri

Hugo affascinato dagli spettri A Venezia i disegni del romanziere francese Hugo affascinato dagli spettri "Tn] VENEZIA i< PETTRI, pizzi, castelli, m rovine, ombre, macchie: il l'autore, Victor Hugo, il hZj grande scrittore francese (1802-1885). Noto come poeta, drammaturgo, romanziere, filantropo, rivela ora il suo volto più misterioso, di pittore e grafico. Centodue straordinari disegni, realizzati tre 1842 e 1875, arrivati dalla Bibliothèque Nationaie e dalla Maison de Victor Hugo di Parigi, dall'omonimo Museo di Villaquier e da collezioni private, sfilano nella penombra ovattata delle sale della Galleria d'Arte Moderna Ca' Pesaro (sino al 23 maggio). Scelti tra i tremila del catalogo ragionato, raccontano un Hugo innovatore e rivoluzionario, che anticipa Surrealismo e Dadaismo (curatori della mostra, Jean-Jacques Lebel e MarieLaure Prévost, catalogo Mazzotta). Victor Hugo comincia a schizzare nel 1825, continua durante i numerosi viaggi dalle Alpi ai Pirenei, dalla Normandia al Belgio, come testimonia in apertura quel «Piccolo paesaggio» del 1842 eseguito forse a Saint-Prix. Ma soprattutto disegna durante i diciott'anni di esilio, dal 1851 al 1870, prima a Bruxelles, poi a Jersey e Guernesey sulla Manica di fronte a StMalo, dove si era rifugiato in seguito al colpo di Stato di Napoleone III. Chiuso nell'ambiente familiare (moglie, tre figli, qualche amico), lontano dalla vita parigina che sino allora lo aveva preso tra politica e letteratura, medita su Shakespeare, scrive poesie e pamphlet e verso il 1852 comincia una serie di disegni alcuni di grandi dimensioni. Li vediamo subito dopo: castelli, paesaggi, rovine di ispirazione fortemente romantica, destinati ad amici e signore, come quel biglietto da visita firmato e datato «1856» a Jersey «Offerto ai begli occhi di Madame Préverault». Ma il geniale Hugo non si ferma qui: usa «carte ritagliate» (stampini), frammenti di pizzo intinti nell'inchiostro e premuti su carta macchiata o preparata con lavature. Dipinge a grandi chiazze scure o si lascia guidare da una matita legata a tavoli che si muovono durante sedute spiritiche. I risultati? Audaci e moderni, come nella «Silhouette di castello illuminato da un temporale» o ne «L'Ermitage», creati con stampini tra 1854-55, o ancora nella delicata serie di «Impronte di pizzo» del 1855. L'idea del pizzo si mescola spesso con quella degli spettri, come indica quel volto grottesco che affiora da trame di fili: non è diffìcile immaginare Hugo e compagni che parlano con i de- funti Platone, Eschilo, Molière o anche Gesù Cristo, come accadde durante la riunione del 18 febbraio 1855. La ventata spiritica, di moda in quegli anni a Londra e Parigi, arriva nella cerchia di Hugo tramite Madame Delphine de Girardin, celebre «fervente de tables». Medium, Charles, figlio di Hugo che a sua volta riempiva taccuini di note letterarie e disegni curiosi, come quello «Spettro in cima ad un comignolo» del 1856-57, o quel «Mulattiere cieco incontrato in montagna», «uno di quei volti scuri e bruciati che non hanno età; poteva avere trent'anni, come poteva averne cinquanta. Tra l'altro aveva dei bei denti, l'occhio vispo e un sorriso accattivante; sorrideva infatti. Un fazzoletto rosso gli cingeva la fronte...», come lo descriveva lo scrittore in «Voyages». Adesso sono su questa parete azzurra insieme ai fogli di un altro carnet «inedito» disegnato a Guernesey tra il 17 giugno e la fine dell'agosto 1856, con le immagini più disparate, dai pizzi agli studi di macchie, da visi mostruosi ad animali e paesaggi: linee nitide e frastagliate, forme bizzarre, nate dall'inesauribile mente del poeta. Ma i disegni più originali sono quelli con macchie d'inchiostro simmetriche ottenute piegando la carta, secondo tecniche antiche. Un sistema usato da Hugo prima dell'esilio e soprattutto nel 1856, dopo l'esperienza medianica. «Tutti i mezzi sono buoni per lui», raccontava l'amico Philippe Burty nel 1875, «Il fondo di una tazza di caffè versato su un foglio di vecchia carta vergatina o il fondo di un calamaio versato su carta da lettere, distribuiti con il dito, tamponati con una spugna, lasciati asciugare, ripassati poi con una penna a punta grossa o fine e rielaborati con lavature a gouache o color vermiglio...». «Versava l'inchiostro a caso, premendo la penna d'oca che scricchiolava e schizzava getti come razzi. Poi plasmava, per così dire, la macchia nera...», rincarava il nipote George Hugo nel 1902. Era un modo per far affiorare castelli e foreste, impronte di felci e dita, soli neri, rosoni, teste e piramidi che Hugo definiva, minimizzando il suo lavoro di pittore, «tratti di penna qualunque gettati più o meno maldestramente sulla carta da un uomo che aveva ben altro da fare». Considerava i suoi disegni «selvaggi» e diceva, scrivendo a Burty: «Per fortuna mi torna subito la ragione e mi dice: vecchia bestia di un poeta, non penserai mica di essere un pittore!». Maurizia Tazartes i *)•■ "frWl-hllHMhllMM, ,n,„,«ur losophe qui ole lui clouer au Uno tra i 102 disegni di Victor Hugo in mostra a Ca' Pesaro, «Vianden» 1871. Castelli, ombre spiritiche, visioni gotiche, ottenute con macchie d'inchiostro e fondi di caffè, sono i suoi soggetti preferiti. Sotto, un autografo dello scrittore

Luoghi citati: Belgio, Bruxelles, Guernesey, Jersey, Londra, Parigi, Venezia