Everardo e i suoi fratelli di Curzio Maltese
Everardo e i suoi fratelli Teleimbonitori addio, sul piccolo schermo è il momento dei «cult-giornalisti» Everardo e i suoi fratelli CIU'. «Oggi porto questa cravatta verde speranza perché il clima qui è molto grigio...». Su. «Sapete I che novità c'è? Che il toro ha ripreso a galoppare, come diciamo noi in Borsa». Di nuovo giù. «Amici miei, come vedete qui alle corbeille sono rimasto solo...». Ancora su. «Il dollaro è partito fortissimo con il marco a ruota. Ma poi la lira, vroom!, ha recuperato la scia». L'avete riconosciuto? E' lui, Everardo Dalla Noce. Il cantastorie della Borsa italiana. L'uomo del banco delle grida. L'immaginifico mezzobusto che da anni, sostenuto dal fido «collega Mezzanzanica», divulga alle masse del tg2 ore 13 il difficile verbo dell'economia. In un'altalena continua di slanci e depressioni, sussurri e grida, che meglio non potrebbe rendere la schizofrenia della Borsa. Che, nella sua visione, non è certo luogo d'affarismo senza scrupoli, immerso «nelle gelide acque del calcolo egoistico» (K. Marx). Piuttosto un universo animato dove i titoli di credito e le valute, quando crollano, fanno il rumore dei fumetti: splash, sbam, crac. E se risalgono: vroom. Su e giù dal fronte delle corbeille, che per alcune settimane, nel periodo più nero di Piazza Affari, zio Everardo ha presidiato in solitudine, come il guardiano di Kafka davanti al portone della Giustizia, sicuro che se fosse andato via l'avrebbero chiuso per sempre. A dispetto delle ironie di agenti di cambio e affini, che a volte s'intravedono ridacchiare e darsi di gomito alle sue spalle, Everardo Dalla Noce è un culto televisivo per milioni di telespettatori e un intoccabile per il direttore uscente (da una vita) Alberto La Volpe. Nessuno prima di lui era riuscito a risollevare l'audience in coda ai Uggì. Con l'economia, poi. Riceve centinaia di lettere la settimana di piccoli risparmiatori che gli chiedono lumi su come investire la pensione. A volte, risponde pure. E' un culto. Uno di quei personaggi eccentrici che vivono ai confini della realtà elettronica, sanno far frizzare lo schermo, mandano in cortocircuito il senso comune televisivo, ai quali presto o tardi vengono intitolati fans club di provincia. Benché i giornali ne parlino di rado, vantano milioni di aficionados che quasi mai corrispondono a una precisa «nicchia d'ascolto». Un esempio clamoroso è Federico Fazzuoli, padrone della rubrica Linea Verde. La domenica mattina, prima della Santa Messa, la guardano cinque milioni d'italiani. Non possono essere tutti agricoltori. Fazzuoli assomiglia a Sor Pampurio e si manifesta dal cielo col segno distintivo del potere assoluto, l'elicottero. Ma il suo non è come quelli di Agnelli e Berlusconi. L'elicottero di Fazzuoli è fatto della materia del sogno. E' un tappeto volante che si posa su un'arcadia italiana, ahi quanto diversa dalle cronache nere. Un Paese di belle campagne e forti contadini, in perenne festa campestre intorno a una tavola imbandita d'ogni ben di dio, dedito ai pascoli e al Pascoli, ecologico ed elegiaco, placido e bucolico. Dove perfino gli assessori, che ogni tanto spuntano per caso da un cespuglio, hanno facce rudi e perbene e se non hanno le mani pulite è perché amano la terra, anche loro come Fazzuoli, sempre lì a rimestar zolle e a sbriciolarle tra le dita. I maligni dicono che Fazzuoli è soltanto un inviato della Confagricoltura, tant'è che non mostra mai contadini incazzati e cortei di braccianti sènza lavoro. Intanto, è impossibile staccare gli occhi dalle sue missioni agresti, dal momento in cui atterra sul podere all'istante in cui saluta i rustici ospiti, con appena un cenno mesto del capo perché ha le mani impegnate a caricare sull'elicottero cassette di vini e salami e caciotte, via verso un'altra avventura. Una zona di culto recente è il Meteo di Raitre dove un'intera genia di eccentrici ha preso il posto, con un golpe alla rovescia, dei colonnelli d'Aeronautica impegnati per anni a mettere sull'attenti venti e maree. Questi più che meteorologi sono meteoropatici. Non leggono le massime, le esternano. Hanno trasformato il banale Meteo in un Hyde Park Corner della televisione. Capostipite è Liliano Frattini, quello che declama poesie e isobare sotto l'ombrello, indossando la cerata gialla, ed è capace di dire «l'anticiclone delle Azzorre si sta dando un gran daffare per proteggere l'Italia», manco si trattasse di Scalfaro. Poi è venuto Giorgio Chiecchi, sindacalista duro e puro, piazzato in video da Curzi perché non rompesse troppo le scatole in assemblea. Chiecchi ha cercato di applicare alle previsioni del tempo la teoria marxista-leninista (un po' come Lyssenko nella biologia) regalando una chiave di lettura politica a nubifragi e maremoti, intervallando minime e massime delle capitali estere con testimonianze operaie e personali assai critiche nei confronti del padronato. Ha ballato una sola estate. Il testimone è infine passato a Fulvio Grimaldi, un crack. Lottacontinuista della prima e ultima ora, ala creativa, Grimaldi è diventato famoso per alcuni tracimanti reportage da luoghi già sconvolti da cataclismi naturali: eruzioni, valan¬ ghe, alluvioni. Per intenderci, era quello che a Zafferana Etnea gettava il foglio di carta sulla colata, per far vedere che la lava brucia. Oppure mostrava un tappo di sughero per illustrare l'operazione-tappo. E per spiegare il concetto di «bocca effimera», parlava. In pochi mesi Grimaldi («questo bel soggetto» dice di sé, orgoglioso) ha oscurato finanche il ricordo dei predecessori. Si è calato in pozzi artesiani, s'è fatto imbracare su per un sesto grado travestito da Indiana Jones, s'è lasciato ripescare in fondo a una slavina da un incolpevole San Bernardo. Quando non mostra i muscoli, predica il suo credo eco-integralista, il genere di cose che alla lunga inducono a considerare con simpatia la desertificazione del pianeta. Tempo fa, l'hanno portato via. La normalizzazione incombe anche su Luca Giurato, gestore dell'Edicola del Tgl. Va detto, una delle più brillanti. Fin troppo. Giurato si definisce senza sbagliare «un drogato del giornalismo». S'intende quello «vero», «d'una volta», «della carta stampata». Mestiere al quale tributa un amore sviscerato e implacabile. Ogni notte, scarabocchiate le prime pagine, Giurato si collega col «collega» per i commenti. Trattasi di un direttore (o vice, o con) di quotidiano, per essere precisi il «carissimo direttore», col quale «ci conosciamo da una vita», perché invariabilmente hanno «cominciato assieme». E qui cade il fatale «ti ricordi quando...?», prodromo di tanti racconti di tono amabilmente conviviale, teneramente complice, sul «mestieraccio di giornalista» nella sua accezione più avventurosa (inviato di guerra) e/o mondana (la sera, a via Veneto...), insomma la nota mitologia a partire dalla quale forse si spiega l'odio per i giornalisti che accomuna ambienti anche molto distanti fra loro. A parte tale vezzo, l'occhiale verde antinebbia e la pettinatura alla Star Trek, Giurato gode di meritato successo. E' l'unico che si preoccupi di sottolineare le differenza tra un giornale e l'altro, invece di impugnare il pennarello da maestro per segnalare i titoli uguali. Al capo opposto del gioviale, solare Giurato sta il tetro Piero Vigorelli, titolare della funebre impresa Detto tra noi (Raidue), un pezzo di Dario Argento trasportato nella tv dei ragazzi. Cult nero, consumato da Blob, Vigorelli incarna al meglio il vampirismo della tv verità. Colto da estasi necrofila davanti ai delitti più efferati, ne elenca i raggelanti particolari con golosa euforia, come leggesse un menu di Gualtiero Marchesi. Memorabile la lista delle sevizie inferte alla sua vittima dal celebre «canaro», in un crescendo orgasmico mai visto neppure a Mixer. Non si può dire che porti bene. Meglio chiudere qui. All'elenco mancano molti e alcuni tra i più grandi: i Venditori. Gli unici culti consacrati dalle tv commerciali. Figure come l'eterno Mike, il discepolo Funari, l'emergente Gerry Scotti, maìtresà-penser di un nuovo rapporto tra rUorrio e la Merce. Ma questi son temi seri, che muovono fatturati miliardari. Mi limito a ricordare la scomparsa dei teleimbonitori che hanno popolato il mercatino nero degli Anni Ottanta: le video-aste notturne. La protoleghista Wanna Marchi, Walter Carbone, il fine Guido Angeli, autore della più celebre orazione funebre della tv italiana: in morte di Aiazzone. Spazzati via dal nuovo che avanza in genere un transessuale che presenta pornocassette -, ricacciati nell'estrema periferia dell'etere, quando addirittura non perseguiti dalla legge, come Giorgio Mendella, le cui vicissitudini giudiziarie annunciavano, a ben guardare, la fine della Belle Epoque. Curzio Maltese Borsa, meteo, edicole agricoltura, delitti: gli spericolati della nuova frontiera
Luoghi citati: Azzorre, Italia, Zafferana Etnea
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