Il Cardinale in edicola, Berlusconi in libreria, Tatò in castigo di Valeria Sacchi

Il Cardinale in edicola, Berlusconi in libreria, Tatò in castigo I NOMI E GLI Il Cardinale in edicola, Berlusconi in libreria, Tatò in castigo Il fronte ministeriale delle privatizzazioni si rafforza. Da duo (ministri del Tesoro e del Bilancio) è diventato quartetto: a dar man forte a Piero Barucci e Franco Reviglio, sono arrivati Nino Andreatta e Paolo Baratta, mentre a Giuseppe Guarino, irriducibile frondista, un decreto ha tagliato l'erba sotto i piedi. Attenzione, le ceneri di Stato continuano a covare il fuocherello, e non disperano di dare una mano a chi questo governo vuole mandarlo a casa al più presto. Ma finché Giuliano Amato dura, l'autopista delle privatizzazioni resta aperta. A Villa d'Este ne ha parlato senza mezzi termini il nuovo ministro del Bilancio, che è anche mente economica del segretario della de. Facendo spuntare il sorriso sulle labbra al presi- Beniamino Andreatta dente della Paolo Borsa Attilio Baratta Ventura e a Carlo Scognamiglio, che delle privatizzazioni si ritiene padre putativo. E un sorriso ancor più ampio ha illuminato i volti dei grandi banchieri esteri presenti, da André LevyLang di Paribas, a Ulrich Weiss di Deutsche, dall'irlandese Peter Sutherland, al presidente di Warburg, David Sholey. Privatizzare significa Borsa che riparte, mercati che girano, consorzi che guadagnano. Buon business, ancor più buono con la lira deprezzata. Privatizzare fa bene a chi ci sta in mezzo. Uno dei pochi manager di Stato che ancora girano per teatri e convegni, tranquillo e disteso, è Mario Artali, amministratore delegato della Sme. Chi saranno i prossimi a partire? Andreatta ha fatto quattro nomi: Stet, Enel, Ina, Eni. Nulla è stato detto del Credito Italiano. E il motivo esiste. Sembra infatti che per la banca guidata da Pier Carlo Marengo e Giuseppe Bruno l'operazione di cessione sia slittata. Non cancellata, solo temporaneamente sospesa, per le difficoltà di trovare il compratore. Per cui qualcuno, venerdì sera, vedendo il presidente della Comit Sergio Siglienti e il presidente delle Deutsche Hilmar Kopper arrivare insieme alla Scala per il «Don Giovanni», ha lanciato l'ipotesi che tocchi alla banca di Raffaele Mattioli tagliare per prima il cordone ombelicale che la lega all'Iri. Non è così. La spiegazione è più semplice: le mogli dei due banchieri, Jutta e Irene, sono amiche. Del Pier Carlo resto, venerdì, Marengo Sergio Siglienti al «Don Giovanni post craxiano», come è stata ribattezzata questa edizione diretta da Riccardo Muti, di banchieri ce n'erano parecchi. Ad esempio, il presidente deU'Abi, Tancredi Bianchi, e il direttore generale di Bankitalia, Tommaso Padoa Schioppa, ospite di Maurizio Sella. E' gasato, Silvio Berlusconi. La settimana del libro scontato Mondadori ha portato molta gente in libreria, confermando ancora una volta il suo «fiuto». E accelerando, in prospettiva, l'ascesa nel palazzo di Segrate di Gianni Ferrari, responsabile dell'area libri, destinato a diventare - le scommesse sono aperte - numero uno. Che Franco Tato non fosse più il prediletto lo si era capito alla conferenza stampa che annuncia¬ va l'iniziativa. Quando re Silvio aveva chiamato accanto a sé, in cattedra, il filosofo Ferrari, lasciando il manager Tato in panchina. Al padrone di Fininvest non piace la parola «no». E «no» aveva detto il prudente Tato alla proposta di accogliere sotto i colori del vessillo Mondadori «Noi», il nuovo settimanale di Gigi Vesigna. Ma Tato è un duro, e si è subito trovato una via d'uscita. Occuparsi del gruppo cartario che fa capo a Flavio Sottrici, sommerso da mille miliardi di debiti. Un impegno part-time che gli consente di mantenere un piede a Segrate. A meno che, ed è un'altra chiave di lettura, le cartiere Sottrici non facciano gola al gruppo editoriale di cui è amministratore delegato. Comunque sia, nell'Italia post Tangentopoli, Tato Franco Tato si dà alla carta il «risanatore» rischia di essere gettonatissimo. Nessun rischio di disoccupazione per chi è abile nel «taglia e cuci». Dovrebbe tagliare, ma ha invece deciso di resistere, Salvatore Ligresti. In vendita, ci sono solo gli alberghi. Chi sperava si facesse da parte, magari abbandonando qualche consiglio di amministrazione, è deluso. Don Salvatore tiene botta, anche se con qualche cedimento: ogni tanto scoppia in pianti irrefrenabili. Ma sono sempre pronti a confortarlo Fausto Rapisarda e Giorgio Cefis. In vista dei tempi difficili, ha assunto un piglio ardito il cardinale di Milano. Dopo le prove televisive, Carlo Maria Martini ha deciso di affrontare l'edicola, con quattro pagine «milanesi» inserite in «Nostro Tempo», settimanale che fa capo alla diocesi torinese. Un ulteriore segnale di contrapposizione alla Cei e al cardinale Camillo Ruini. Un piccolo colpo per il quotidiano «Avvenire», che alla Cei fa capo. Ma Martini ha buone ragioni. Con un occhio al controllo del territorio e uno alle urne, il cardinale vuole riconciliarsi con le parrocchie, insidiate da CI e da Roberto Formigoni. Tuttavia, per non tagliare i ponti, ha affidato la cura delle pagine milanesi ad un inviato di «Avvenire», Antonio Airò. Sempre stando in dintorni cattolici, sembra ormai accertato che il latitante Pippo Garofano abbia un sosia. Diverse persone giurano di averlo visto passeggiare per Milano. Valeria Sacchi Garofano e il suo sosia Beniamino Andreatta Paolo Baratta Pier Carlo Marengo Sergio Siglienti Franco Tato si dà alla carta Ugresti «tiene botta» Il cardinale Camillo Ruini Garofano e il suo sosia

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