Lira, buone «chances» di riprendere quota di Mario Salvatorelli

Lira, buone «chances» di riprendere quota I NOSTRI SOLDI Lira, buone «chances» di riprendere quota ON vorrei che, per non essere buttati fuori dall'Europa (come s'intitolava la rubrica dell'8 marzo), si ricorresse a qualche artificio contabile. Già a metà degli Anni Ottanta, e a mio giudizio allo scopo di diminuire, ma solo contabilmente, la pressione fiscale, si aumentò di un buon 15 per cento il prodotto interno lordo, con la scusa di calcolare l'economia sommersa. Ora, invece, si diminuisce, mese dopo mese, l'inflazione interna (dal 5,3% dell'agosto '92 al 4,5 del febbraio '93). Eppure, già dopo la svalutazione, annunciata la sera di domenica 13 settembre, "La Stampa" pubblicò che noti economisti prevedevano un effetto negativo sui prezzi all'interno da un minimo dello 0,50 a un massimo del 3%. Può spiegarmi, ma con ragioni chiare e convincenti, come mai questo effetto negativo, invece di moltiplicarsi per 3 (oggi, la svalutazione della lira dal 7 è passata al 20%), si è capovolto, addirittura, in positivo?». Lo chiede il lettore Arnaldo Scanavini, di Novello (Cuneo), che non si dispiacerà se ho modificato la sua lettera per arrivare al sodo. Effettivamente, verso la metà degli Anni Ottanta l'Istat ricalcolò i nostri prodotti interni lordi annui, ma non per il motivo che dice il nostro lettore, bensì per aggiungervi almeno una parte dell'economia sommersa. E' vero, però, che l'effetto sulla pressione fiscale fu quello di diminuirla. Per esempio, se il «Pil» del 1984 passò da 615.119 a 727.798 miliardi di lire (con un aumento di oltre il 18%), la conseguenza fu che la pressione fiscale, essendo in cifre rimasta dopo il ricalcolo - quasi identica (da 262.251 a 264.221 miliardi), scese dal 42,6 al 36,30% del «Pil». E a quella percentuale, a quanto pare, non tornerà neppure dieci anni dopo, dal momento che l'Iseo la prevede al 41,4 del «Pil» di quest'anno (il che, a dire il vero, appare un po' bassa: imposte e contributi per 683.100 miliardi sono pari al 43,1% di un «Pil» previsto in 1 milione 584.400 miliardi). Superato (si fa per dire) questo confronto con il passato, veniamo, ora, al mancato effetto della svalutazione che sembra non convinca l'amico (ed assiduo corrispondente) Scanavini. In realtà, all'indomani della svalutazione del 13 settembre, non vi furono soltanto le previsioni dei suoi effetti negativi sull'inflazione interna. Il sottoscritto, lunedì 14, commentando «a caldo» la svalutazione, scrisse: «In tempi normali, si discuteva se una svalutazione del 5% si sarebbe riflessa sul tasso d'inflazione interno per il 2-3% nell'arco di un anno, oppure per lo 0,50-1% appena. Ma, oggi, non siamo in tempi normali: la recessione morde, più o meno crudelmente, quasi dovunque, i prezzi delle materie prime sono deboli, quello del petrolio debolissimo, ed è lecito nutrire fieri dubbi sull'impatto che avrà questa svalutazione sul costo della vita. Non è ottimismo, purtrop¬ po, questo. E' solo una presa d'atto del rapporto tra una produzione di beni e servizi, che cerca di mantenere i suoi livelli normali e una domanda che, tra incertezze e inquietudini, saturazione di certi prodotti e possibilità di rinviare l'acquisto di altri, è debole e disordinata». E i fatti (purtroppo da una parte, per fortuna dall'altra), mi hanno dato ragione. Il prezzo del petrolio è ribassato dell'8-10 per cento, ha contribuito ad assorbire parte della svalutazione, ufficiale e di fatto, della lira. Inoltre, le società straniere esportatrici in Italia di materie prime, prodotti semilavorati e finiti, hanno pensato bene di non aumentare, o di aumentare, ma certo non in proporzione, i loro prezzi in lire, non certo per generosità, ma perché sono anch'esse alle prese con problemi di depressione dei rispettivi consumi interni. Infine, anche la nostra bassa domanda interna è stato il terzo elemento che ha contribuito, non solo a stornare, quanto meno per questi primi sei mesi (che scadono proprio oggi) gli effetti del diminuito potere d'acquisto della lira sui mercati dei cambi ed esteri, ma addirittura a facilitare il ribasso di quel tasso d'inflazione che, ormai, si è portato a un livello «europeo». Senza dimenticare l'abolizione della scala mobile, autentica chiave di volta per la convergenza del nostro tasso d'inflazione con quelli altrui. Un'ultima considerazione, relativa al rischio di «essere buttati fuori dall'Europa», come teme il nostro lettore di Novello. La svalutazione della lira ha raggiunto (cambi di venerdì scorso confrontati con quelli di venerdì 11 settembre per 7 monete più significative e l'ecu) il 22% circa. Infatti, occorrono, anzi, occorrevano venerdì scorso 8.110 lire per acquistare un «paniere» contenente un dollaro (che, però, fa corsa a sé), un marco tedesco, un franco francese, una sterlina inglese, una dracma greca (turismo), uno yen giapponese, un franco svizzero (speculazione) e un ecu. Per acquistare lo stesso paniere, sei mesi fa, erano sufficienti 6.650 lire. Ma, calcoli attendibili (nei quali c'entra il clup - costo del lavoro per unità di prodotto - i prezzi delle materie prime, le quotazioni del 1987, e via dicendo) ci dicono che, a questi cambi, la nostra lira ha una sottovalutazione tra il 7 e il 12-14%. Questo significa, anche agli effetti di un rientro nello Sme (sicuro, ma non per la data), che rivedere tra qualche mese il marco tedesco a 900 lire, la sterlina a 2.100 e l'ecu a 1.680 appartiene alle possibilità, non al mondo dei sogni. Mario Salvatorelli «Ili |

Persone citate: Arnaldo Scanavini

Luoghi citati: Europa, Iseo, Italia, Novello