Le famiglie hanno già assolto Muccioli

Le famiglie hanno già assolto Muccioli I genitori della comunità: ha salvato i nostri figli, siamo con lui anche se ha sbagliato Le famiglie hanno già assolto Muccioli Ma a San Patrìgnano continua la fuga di giovani RIMIMI DAL NOSTRO INVIATO Stazione, ore 0,30. Neon, vento e un accelerato morto al terzo binario. Raffaele, 25 anni, magro, veloce, un piccolo taglio in faccia, mani rosse, giubba verde, jeans: «Dammi un ventimila, sto facendo colletta per il treno». E' uno degli 80 ragazzi scappati da San Patrìgnano. Stava in una camerata al caldo, due mesi di comunità, settore falegnamerìa. Ma il caldo lo soffocava. «Dopo questa storia dell'omicidio, Sanpa mi prende troppo male». Dove vai? «A Milano». Dai tuoi? «No». Dove allora? «Amici». Non ci sono treni per Milano. «Allora parto domani. Ce l'hai o no le ventimila?». Con ventimila non riuscirà neanche a comprarsi un quarto di grammo, ma lui sta facendo colletta e prima che finisca la notte qualcosa rimedierà, nella tribù degli insonni che pattugliano stazione e lungomare. Insonni che come Raffaele vanno a caccia non di un treno, ma di un po' di eroina. Piazzetta di San Patrìgnano, ore 15. Escono dalla mensa, tutti insieme, 2 mila ragazzi, e si sparpagliano al sole: occhiali scurì, impermeabili, chiacchiere. Muccioli, circondato dai suoi, dice: «Sì, in questi due giorni se ne sono andati in molti e so che si sono già rimessi sulla strada. Me li hanno segnalati a Rimini, a Cesena, a Bologna. Torneranno. Io sono qui, li aspetto». Strana domenica, strana rilassatezza tra le strade di San Patrìgnano, dopo i clamori, la tensione, la confessione pubblica di Vincenzo Muccioli. I tre leopardi, dentro alla gabbia, stanno immobili strizzando gli occhi alla luce bianca. Muccioli dice: «Ho scritto alla famiglia di Roberto Maranzano, spero capiscano le ragioni per cui ho coperto il suo omicidio. Ora non ho più segreti da rivelare. Ora bisogna andare avanti». Oggi è giorno di visita. Al parcheggio qua fuori trovi macchine targate Milano, Belluno, Torino, Napoli, Roma: viaggiatori italiani dentro a quell'unica storia (eroina, piazza, carcere, Aids) che ha traghettato qui i loro figli. E le madri che incontri hanno tutte gli stessi occhi, lo stesso racconto da fare, le stesse certezze. Giornali e tv possono sollevare dubbi, criticare la comunità, definirla una setta, discutere le responsabilità di un omicidio avvenuto proprio qui dentro, il 5 maggio del 1989, trovare inaccettabile che l'omertà abbia potuto coprirlo per quattro anni. Ma non c'è nulla che possa incrinare la fiducia di questa signora bionda, alta, triste, che quasi ogni domenica, da 9 anni, arriva da Luino per trovare suo figlio. «Mi chiamo Wanda Morandotti, sono qui anche per stare vicino a Muccioli, dirgli che capisco il suo dramma. Mio figlio, quando è entrato qui dentro era conciato da buttare, era uno schiavo pronto a morire. Oggi ha imparato un mestiere, restauratore, sta bene, ha una fidanzata, è tornato forte e allegro. Vincenzo ci ha salvato, questo non lo dimenticherò mai. E alla gente che lo critica, ai politici che parlano, parlano, ma non si muovono neanche per scendere in strada, voglio dire che non sanno niente. Continuino pure a parlare, ma lascino stare Vincenzo. Lui fa». «Mi chiamo Renato Maracci, sono di Rimini. Mio figlio è qui da un anno. Solo chi ha vissuto questa tragedia, giorno per giorno, può discutere, può capire il miracolo che ha costruito Vincenzo. Voi parlate dell'omicidio, io voglio parlare delle migliaia di ragazzi che ha salvato. Anni fa vi siete stupiti delle catene. Ma se Vincenzo mi avesse detto, tuo figlio lo devo tenere con le catene ai piedi, io gli avrei risposto: mettigliene una anche al collo». «Mi chiamo Lisa Merigaldo, vengo da Padova. Mia figlia è qui da due anni. E' stata in galera, sulla strada, in giro per il mondo, si è prostituita, ha rubato, si è ammalata, ha fatto tutto il peggio possibile, facendomi morire cento volte. Ora è qui. Viva, di nuovo bella. Ha iniziato l'università. Non ripagherò mai abbastanza Vincenzo, e sono venuta per dirglielo. Sì, ha coperto un omicidio, ma io non me la sento di giudicarlo. Sa quanti ragazzi muoiono ogni giorno nelle piazze, dentro ai cessi, sulle panchine? Qui è successo una volta. E se Muccioli ha commesso uno sbaglio, sono con lui lo stesso». No, non ci sono incertezze, dentro allo spazio bianco di San Patrìgnano. Dubitino i giudici, non ancora convinti della versione di Muccioli («ho saputo, ma molti mesi dopo»). Dubiti chi pensa che è impossibile compiere un omicidio, trasportare il corpo a 1200 chilometri da qui, depistare le indagini, tenersi il segreto. Dubiti chi crede ci sia un legame troppo stretto, ai limiti del plagio, tra Muccioli e i suoi ragazzi. Dubiti chi non se la sente di dimenticare le molte testimonianze di botte e violenza psicologica, quei racconti ghiacciati finiti sui giornali e nei tribunali. Muccioli andrà avanti, con la sua enfasi da predicatore e le sue certezze proibizioniste. «Finché avrò fiato io resterò qui a ricostruire quello che l'eroina distrugge». E pure Raffaele, che aspetta la sua nuova notte alla stazione di Rimini, finirà per ritornare. Il mistero di San Patrìgnano riguarda noi, non lui. Pino Corrias E dopo il pranzo Vincenzo annuncia: «Ho scritto ai parenti di Roberto per spiegare il mio silenzio Ora si deve andare avanti» 9 Vincenzo Muccioli tra i suoi ragazzi nella comunità di San Patrìgnano