Miglio; «la politica è sopraffazione»

Miglio; «la politica è sopraffazione» fili L'IDEOLOGO DELLA LEGA «Il linciaggio è una forma di giustizia nel senso più alto», il senatore conferma e spiega Miglio; «la politica è sopraffazione» «Il razzismo, strumento di lotta» ERCOLEDI' 10 marzo: «Il linciaggio è la forma di giustizia nel senso più alto della parola. Questa classe politica rischia di andare incontro alla giustizia rivoluzionaria. E la giustizia rivoluzionaria è sempre sommaria». Sabato 13 marzo: «Siamo in una fase pre-rivoluzionaria. E non escludo neanche un bagno di sangue come accade fatalmente nelle rivoluzioni». L'escalation di Gianfranco Miglio, scienziato della politica e senatore della Lega Nord, prosegue in una sequenza inarrestabile (e compiaciuta) di efferatezze verbali. E' fatale, dunque, che - quando lo si incontra - la discussione si concentri sui temi più delicati: quello del razzismo e quello dell'antimeridionalismo e quello, appunto, del linguaggio della politica. Sulla prima questione, Miglio è attento e controllato; sulla questione del rapporto con il Sud d'Italia, invece, le sue tesi sembrano quelle - particolarmente aggressive - della Lega delle origini. Ma è nel finale che Miglio si scompone: quando gli chiedo un'opinione sul fatto che Bossi, qualche anno fa, abbia espulso dalla Lega un omosessuale perché omosessuale, Miglio commenta così: «Gli omosessuali sono degli ammalati: è un forma di malattia largamente diffusa, di tipo genetico, e non possono essere considerati normali». Ma condivide la scelta di Bossi di espellerlo? «Guardi, io fortunatamente non ho responsabilità...». Mi risponda si o no. «No, vede, io francamente ho una profonda pietà per l'omosessuale...». Sì o ho? «Espellere dal movimento l'omosessuale, no, perché non credo che faccia danno. Da cariche di responsabilità, sì». Perché? «Beh, perché è un debole, perché è un ammalato, e specialmente perché tratta con i giovani». Dalle sue parole e dai suoi comportamenti emerge quella che chiamerei una concezione cattiva della politica: ovvero la politica come malvagità. «Sì. Che la politica sia maligna, per un machiavelliano come io sono, è del tutto nor male. Soltanto gli spiriti debo li credono che la politica sia il luogo della collaborazione. La politica è il regno della sopraffazione. Ma la politica così concepita può stare in piedi solo se ha delle regole spietate di selezione interna: cioè se la competizione è effettivamente aperta e c'è un continuo ri cambio. Laddove, invece, i si stemi degenerano e la politica si riduce a gestione del potere di posizione, allora la situazione diventa pericolosa perché provoca reazioni assai violen te. Come il caso italiano inse gna». Ma la politica come luogo della sopraffazione non si trasforma, fatalmente, in strumento di prevaricazione sui gruppi deboli? «Questo è un rischio, senza dubbio, però io credo che lo spazio della libertà sia essenzialmente lo spazio tra una sopraffazione e l'altra: il momento di liberazione si realizza quando un sistema di potere cade. E' quello l'attimo magico, limitato nel tempo, in cui i cittadini hanno la sensazione di essere liberi. Ma io non credo che la Lega sia l'ultima delle rivoluzioni. La Lega seguirà la storia di tutti i movimenti politici e quindi, a un certo punto, degenererà: il più tardi possibile, ma degenererà». Se traduco ciò in politica, ne ricavo che, oggi, la Lega è l'organizzazione di alcuni gruppi forti che temono di diventare deboli e che tutelano i propri interessi contro quelli di altri gruppi già ora deboli. «Che dentro la Lega ci siano dei gruppi forti, io lo escluderei: i piccoli imprenditori, i piccoli mercanti, gli artigiani, che pure costituiscono il nerbo della Lega, non sono un gruppo di forza e, soprattutto, non hanno una loro strategia. E io non credo a una Lega Nord che conduce un'azione governamentale a favore di determinate categorie». Ma non è forse vero che il programma economico della Lega è sempre più connotato in senso liberista classico? Di destra, insomma? «E' sempre stato liberista; e se la Lega avrà mai il potere, io credo che taglierà la mano pubblica in maniera spietata». A proposito di maniere spietate, tempo fa lei ha affermato: «Quelli di Hitler sono stati errori di stile». E quando le è stato chiesto conto di quella frase, ha imbrogliato: io parlavo di stile in senso politologico, ha detto. «Istituzionale...». No, allora ha detto: politologico. «No, era istituzionale. Nel campo della storia istituzionale, stile è il modo di gestire un certo complesso di istituzioni... Io non sottovaluto affatto la gravità delle scelte fatte dal nazismo, ma volevo dire che il suo stile, come lo stile di Guglielmo II, corrisponde a un modo assolutamente insensa¬ to di concepire la politica». 10 vedo invece, in quella frase, la volontà di stupire a tutti i costi: una civetteria che pretende di rovesciare il senso comune della democrazia. E ci vedo, anche, la volontà di esaltare l'aspetto aggressivo del rapporto tra la Lega e l'opinione pubblica. Da qui la frase sui kalashnikov e sul linciaggio, 11 giudizio su Hitler e la violenza verbale contro gli avversari, ma anche contro i dissidenti interni. «Io credo nella concezione machiavelliana, per cui in politica non si danno giudizi morali. Questo significa che, nel valutare il comportamento di movimenti politici e di capi politici, io dò solo e sempre giudizi politici, e li dò in relazione al conseguimento del fine perseguito. Per questo io guardo con distacco il comportamento di Guglielmo II e di Hitler». Ma con ciò si elude la questione della responsabilità dell'intellettuale, che deve pur conoscere gli effetti delle proprie parole. E allora le chiedo: è pensabile che la storia di questo secolo faccia a meno dei giudizi morali? Non è forse vero che proprio una concezione amorale della storia, dove vittime e car¬ nefici vengono equiparati, è tra le cause della ripresa dell'antisemitismo in Europa? «Ma se avesse ragionato così, Machiavelli non avrebbe scritto "Il Principe". E io spero di riuscire a scrivere, prima di morire, qualcosa che vada molto oltre "Il Principe": qualcosa sul tema del realismo nell'analisi politica. E' questo il dovere di uno scienziato della politica che sia coerente con la sua missione». Ma, oggi, lei ha messo tra parentesi la «missione dello scienziato» e fa il politico, come si dice, a tempo pieno. Parliamo, dunque, di politica. La Lega è un'organizzazione che, per un verso, si definisce sulla base di un'appartenenza territoriale e culturale e, per altro verso, sulla base di un sentimento e di un programma di esclusione degli altri: di chi non è Lega. Da qui il suo irriducibile bisogno di nemico: la mobilitazione antimeridionale in una prima fase e quella contro l'immigrazione extracomunitaria nella fase successiva: e, finalmente, la mobilitazione contro il nemico «più remunerativo»: la partitocrazia. Ma non va dimenticato che, ancora nel dicembre 1989, la Lega chiedeva insegnanti lombardi per gli studenti lombardi. «Prima di tutto, dico che una tendenza razzista, cioè l'identificazione del nemico come appartenente a una stirpe diversa, è sempre stata presente nella lotta politica. Basti pensare alla lotta tra lo schieramento social-comunista e quello liberal-democratico in Italia, nel dopoguerra. Quello che nego assolutamente, perché non sta in piedi dal punto di vista logico, è che il culto della propria identità implichi una valutazione negativa dell'identità altrui». In termini teorici, no. Il Partito sardo d'azione, un «partito etnico», mai è passato dall'esaltazione della propria identità regionale alla denigrazione dell'identità altrui. E, invece, mille prove dicono che questo è successo e succede nella Lega. «Ma qual è l'origine della reazione antimeridionale della Lega? E' il fatto* che l'abitante delle nostre vallate, quando entra in contatto con rappresentanti dell'amministrazione, trova che sono inefficienti, arroganti e sordi alle esigenze del cittadino; e, guarda caso, tutti questi funzionari provengono da determinate regioni d'Italia. Questo ha dato ai padani l'impressione di essere amministrati dallo straniero. E noi sappiamo che, quando amministravano gli austriaci, i padani erano molto più felici di quanto lo siano oggi». Ma quando si consente l'identificazione tra le deficienze dell'impiegato singolo e la sua origine regionale, si crea e si esalta lo stereotipo: si legittima, cioè, il passaggio dall'errore o dal difetto dell'individuo alla diffamazione di un raggruppamento o di un'area geografica. Non lo definisco razzismo perché sarebbe un termine improprio, ma insomma... «Io credo che nella nostra vita, a ogni passo, siamo indotti a spiegare il comportamento delle persone (quello "spiegare" va messo tra virgolette) ricorrendo a fattori familiari, sociali, territoriali. Riferiamo i comportamenti individuali a un condizionamento: per esempio, proviene da quegli ambienti e perciò... Insomma, se uno fa infinite esperienze del cattivo funzionamento di un'amministrazione e lo confronta col funzionamento non dico buono, ma meno cattivo - di un'amministrazione retta da chi è, invece, della stessa stirpe dell'utente, questo è naturale». Questo è tutt'altro che naturale: è il risultato, piuttosto di una costruzione artificiale. Ovvero di un processo culturale e politico che la Lega alimenta e radicalizza. «Ma no! E' il ragionamento della gente semplice, che vede il funzionario pubblico come estraneo al suo ambiente e alla sua stirpe...». ...Ma quale stirpe? Stiamo parlando di italiani del Nord e del Sud... «...che non ha, cioè, quei punti di riferimento comuni... Non dico che debba provenire dallo stesso paese, ma che abbia almeno la capacità di usare la parola dialettale... e, invece, il funzionario spinge il lombardo a parlare italiano. E' questo che ha prodotto la reazione antimeridionale. Anche nella gente umile non c'è più il desiderio di dire: io parlo italiano. Si dice, invece: io parlo il mio dialetto e mi devono capire. Tutto questo nella scuola viene vanificato, perché ci sono insegnanti che non solo non capiscono il dialetto, ma parlano italiano con un'inflessione meridionale, spesso incomprensibile per i ragazzi». Ma basta spostarsi a Milano per vedere che la popolazione urbana è l'esito di mille intrecci, matrimoni, migrazioni: ed è impossibile distinguere tra immigrati di prima, seconda, terza generazione, residenti da vent'anni o da un secolo. «Guardi, io ho studiato per una lunga parte della mia vita i problemi dell'amministrazione pubblica e posso dire che quando si scende dagli altissimi gradi dell'amministrazione, della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, e si arriva al piccolo funzionario, è lì che cambiano le cose. L'alto funzionario ha pur sempre una sua preparazione, anche se ha magari i suoi vizi di origine, ma questi si accettano così come io li accetterei da un collega americano...». ' Peròl Luigi Manconi «Al Nord ci sono insegnanti con un incomprensibile accento meridionale» Qui a fianco: il leader della Lega, Umberto Bossi Sotto: Niccolò Machiavelli Nella foto grande: Gianfranco Miglio

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