Un supermarket chiamato Est

Un supermarket chiamato Est A Verona i Paesi dell'ex blocco orientale cercano partners per le privatizzazioni Un supermarket chiamato Est Nelle ambasciate italiane verrà istituito V«addetto agricolo» Lobianco: però bisogna anche mettere ordine in casa nostra VERONA DAL NOSTRO INVIATO «Scusa se non parlo ancora slavo. E lei che non capiva disse: bravo». Così cantava Lucio Battisti nella sua «Luci dell'Est». Erano i primi Anni 70 e allora, a parlare di luci dell'Est, venivano in mente lampadine fioche e neon freddi. Adesso invece i Paesi dell'Est hanno luci da supermarket, sotto l'insegna «privatizzazioni» si cercano capitali che abbiano voglia di comprare. E si fanno buoni affari. La dimostrazione, per quel che riguarda l'agroalimentare, è venuta dalla Fiera di Verona, dove i ministri agricoli dell'ex blocco orientale sono venuti in massa a chiedere se le nostre aziende sono interessate ai loro programmi di apertura al privato. Non c'è ancora stato il tempo di fare un bilancio di questa 95a edizione della «Fieragricola», ma indubbiamente il fatto più significativo è questa presenza dell'Est. Una presenza decisa, che ricerca con vero interesse un rapporto con la nostra realtà e soprattutto l'aiuto che può venire dalla nostra struttura agroalimentare. «In un paio di giorni ho incontrato una decina di colleghi dei Paesi dell'Est - dice il ministro Gianni Fontana - e da ognuno di loro ho avuto prove di una fortissima volontà di collaborare con noi». Dalla Bulgaria all'Estonia, dal Tajikistan, alla Lettonia, tutti in cerca di partners per far rendere i loro allevamenti, le loro foreste, le loro immense coltivazioni. «E' assurdo continuare a comprare attraverso Paesi che fanno da intermediari, invece di allacciare rapporti diretti - commenta un operatore -. I tedeschi stanno riversando all'Est fiumi di marchi. E' ora che ci muoviamo anche noi». E il ministro Fontana assicura: «Innanzitutto metteremo a punto col ministero, .degli Esteri^corsi di forniamone e* di informazione. E faremo In modo che quésta vocazione dei Paesi dell'Est a stringere rapporti di collaborazione economica con noi si sviluppi sempre di più, prova ne sia che nel disegno di riforma del ministero dell'Agricoltura abbiamo previsto l'inserimento di un addetto agricolo nelle nostre ambasciate». Insomma, è ora che l'agricoltura italiana impari a parlare slavo. Ma se l'Italia verde deve da un lato pensare ad avanzare all'estero dall'altro deve difendersi, così come tutta l'agricoltura occidentale. E' l'opinione di Giovanni Sartori, politologo docente all'Università di Firenze e alla Columbia University. «La realtà - dice Sartori - è che l'agricoltura che produce va in estinzione, sostituita da un parassitismo burocratico che cresce». Così, nell'era del mercato globale, anche l'Europa agricola rischia di diventare un «caro estinto». Il protezionismo agricolo è ritenuto nocivo dagli economisti? «D'accordo ha risposto Sartori alla platea dell'Accademia dei Georgofili - ma l'abbandono delle attività agricole in alcune zone è estremamente pericoloso, anche dal punto di vista ambientale, e occorre ricordare che l'agricoltura non è solo un conto economico, ma una cultura, un'identità, una tradizione». Già oggi gli occupati in agricoltura diminuiscono e la politica delle tariffe e dei sussidi non basta a trattenere il contadino in campagna. «Eliminate tariffe e sussidi 0 numero degli addetti potrebbe scendere ancora, ci sarebbero altri disoccupati - fa notare Sartori - e il contadino che viene trasformato da produttore a disoccupato non diventa un consumatore avvantaggiato dal fatto di comprare il pane o il burro a prezzi inferiori, diventa invece un povero da sfamare a carico della comunità». Preoccupato anche il leader della Coldiretti, Arcangelo Lobianco. «Questa fiera è bella - dice - ma rischia di essere una vetrina di cose che non si possono comprare. Stiamo andando avanti applicando una riforma della politica Cee sen¬ za avere un disegno nazionale preciso. Non ci si rende conto delle conseguenze della riforma sull'agricoltura italiana». Secondo Lobianco il punto più debole sono le politiche di accompagnamento alla riforma della «pac»: «Si vota la Finanziaria senza sapere se ci sono le risorse nazionali per far scattare quelle della Comunità. Manca un disegno di sviluppo che tenga conto della situazione italiana e di quella comunitaria, non ci sono collegamenti, non ci incontriamo per decidere su temi di carattere politico». E il presidente dei coltivatori diretti elenca tre emergenze sul tappeto: la riduzione dell'intervento pubblico, la prevalenza del sistema agroindustriale sull'agricoltura e l'emergenza ambientale, dietro cui c'è il business dello smaltimento rifiuti. «Bisogna prepararci a fronteggiare queste emergenze - avverte Lobianco - e per farlo bisogna far conquistare maggior potere al sindcato nel suo rapporto con l'economia. Non si può più vivere alla giornata giocando a scaricabarile». Per raggiungere questo obiettivo si punterà all'unificazione di Coldiretti, Confagricoltura e Confederazione italiana agricoltori, di cui si parla da tempo? Lobianco frena: «Più che di unificazione è meglio parlare di collaborazione. Abbiamo tre storie diverse e metterle assieme potrebbe anche complicare le cose. L'importante - sottolinea - è il modo con cui si affrontano i problemi». Vanni Cornerò Lobianco chiede una politica misurata sulle risorse nazionali

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