Beatles

Beatles Elaborava i suoni dei «Favolosi Quattro», oggi racconta di loro per la prima volta George Martin, l'uomo che inventò i Beatles LONDRA. Il quinto Beatle si aggira col naso per aria, svagato e benedicente sotto le volte azzurre della sua gran chiesa, che ha appena finito di trasformare nella basilica di San Pietro degli studi di registrazione. Parrebbe un Papa se non fosse per il portamento da ufficiale gentiluomo, temperato da una limpida modestia. Prima di mettersi a tradurre in dischi le idee di Lennon e McCartney e diventare il produttore della leggenda più insuperata della storia del rock, George Martin (oggi 67enne) faceva l'aviatore nell'esercito di Sua Maestà. «Con il suo stile - diceva Pungo Starr - ci sembrava un aristocratico pilota di Spitfire». Tira aria contemplativa e ipertecnologica nella nuova sede dei suoi famosi Air Studios. George, gomito poggiato sul monumentale mixer, si stropiccia le mani e ride: «Ringo mi fa onore, ma non è mica vero. John e Paul mi punzecchiavano sempre su questo. Ma io gli rispondevo che ero un figlio della classe operaia, come loro». Magrezze lontane: oggi, con trenta miliardi, Martin ha resuscitato dalle rovine Lyndhurst Hall, maestosa abbazia londinese dell'architetto vittoriano Waterhouse, e l'ha riconsacrata a tempio della musica più avanzata del mondo, in grado di ospitare seicento persone tra orchestra e pubblico per incisioni e concerti dal vivo. Ne ha fatta di strada da quando scritturò i Beatles negli sciatti studi della Emi. Era il 1962: quei muri della leggendaria Abbey Road avrebbero visto nascere, per otto prolifici anni, capolavori mozzafiato. Fu lui, oboista classico, l'ostetrico di quella lunga genesi. Fornì ai Beatles dapprima la grammatica e poi quelle che definisce le «complicazioni» musicali. Inventava, provava e riprovava i suoni che i Quattro cercavano, ne interpretava le idee senza forzarle o snaturarle. «John veniva da me e mi diceva: qui voglio un suono arancione. Sembra pazzesco, eh? Io gli proponevo soluzioni, le sperimentavamo insieme e alla fine trovavamo quella giusta». La sua regola era: l'introduzione ha da essere accattivante. «La prima versione di "Can't buy me love" - rivela Martin - partiva dalla prima strofa: "1*11 buy you a diamomi ring, my friend, if it makes you feel alright". Mi misi al pianoforte e convinsi il restio Paul che era molto più efficace attaccare subito con "Can't buy me love, lo -ove" (canta)». In un primo tempo Martin si limitava a sovrintendere attacchi, finali, parti solistiche. «Quando li incontrai, i Beatles non sapevano quello che volevano: tutto ciò che seppero darmi fu "Love me do". Ma sbocciarono molto in fretta e cominciarono a chiedermi: dicci quali strumenti possiamo usare, dacci qualcosa di nuovo». Lo sguardo celeste di George si vela: «Io mi ci mettevo di buzzo buono e provavo: generalmente orchestrazione o effetti sofisticati e melodici per Paul, qualche trovata strana per Lennon. Da maestro di scuola, incaricato di sorvegliare la decenza musicale e di tenere d'occhio l'orologio, diventai loro discepolo». In realtà divenne l'indispensabile suggeritore artistico. I suoi interventi erano misurati e preziosi. Fu lui ad eseguire l'assolo di clavicembalo nella memorabile «In my life», 1965. Con altruismo mise il proprio talento al servizio di quegli straordinari pupilli. La sua meticolosità era inesorabile: prima di incidere una canzone, era capace di costringerli a 60 prove. Ma con tatto pari allo scrupolo accondiscendeva a seguirli lungo i percorsi del loro genio. «John non amava la propria voce: non ho mai capito perché, era meravigliosa. Mi chiedeva sempre di distorcerla. Un giorno del 1966 l'ho preso alla lettera. Ho isolato la parte vocale di "Rain", e il lato B di "Paperback writer", e l'ho girata al contrario. Quando gliela feci ascoltare, John usci di sé dal- la gioia ed esclamò: "Ma è fantastico! Sono stato proprio io a fare questo?". Da allora sviluppò una vera fissazione per le registrazioni al contrario. Amava le esperienze nuove, sempre». Come aiutò i Beatles a capire ciò che volevano? Si accalora: «Con l'intuizione. Paul era più articolato, John sapeva ciò che voleva ma non come esprimerlo: quindi me lo descriveva con metafore e parabole. Nel caso di "For the benefit of Mr. Rite" in "Sgt. Pepper's", mi disse che voleva sentire l'odore della segatura di un circo». Detto, fatto: Martin andò a recuperare due veri organi a vapore, ne as¬ segnò uno a John e l'altro lo suonò lui stesso. Per "Penny Lane" recuperò una tromba barocca. «Ma il primo caso in cui usammo strumenti diversi dai soliti per l'orchestrazione - rievoca - fu "Yesterday". La canzone mi piaceva moltissimo, Paul me l'aveva suonata molte volte quando ancora si intitolava "Scrambled eggs". Io gli ripetevo: Paul, questa è una canzone dolce, non è rock; anzi, non so che cosa farai di Ringo in questa occasione. Gli suggerii di inciderla con la sua sola chitarra. Quando ascoltai la registrazione, gli dissi: l'unica cosa che mi viene in mente sono i violini. Lui storce- va la bocca: uhi, gli sembravano sciropposi. Insistetti per un quartetto, dal suono asciutto. Alla fine si entusiasmò. Nessun altro Beatle era presente: soltanto lui ed io. John, quando gliela facemmo sentire, sbottò: wowl, facciamone altre, di cose come questa. Ero del parere che "Yesterday" dovesse portare la firma del solo McCartney, ma Brian Epstein, il manager, si oppose: deve essere una canzone dei Beatles, disse». I Favolosi Quattro si aggiravano nella bottega di suoni di George Martin come in un negozio di giocattoli. Gli effetti potevano anche essere semplici e tersi, come nel caso di "Because" ("Abbey Road", 1969). «John era alla chitarra elettrica, io al clavicembalo elettrico e Paul al basso. Sulla base strumentale inserimmo poi le voci: Lennon, McCartney, Harrison, un'armonia. In seguito sovrapponemmo altre due bande vocali, con armonie diverse: in tutto 9 voci». Accarezza il mixer e si liscia i lunghi capelli, sovrappensiero. Smessa l'eterna brillantina di quegli anni, oggi è curiosamente più hippy. Aspetta con curiosità l'asta del 21 aprile, quando sarà battuta la più grossa collezione di oggetti dei Beatles, tra cui il pianoforte Steinway bianco a coda di Lennon e il basso di McCartney. E racconta: «La settimana scorsa sono stati qui di Dire Straits, erano entusiasti dei nuovi studi. Ho scelto una chiesa perché voglio che fare musica sia un'esperienza unica. Non come negli studi asettici dove la tecnica uccide l'anima». Divaga: «Anche Paul verrà a trovarmi presto. Con lui, George e Pùngo siamo rimasti ottimi amici». Indugia con tenerezza su quel «noi»: volevamo, cercavamo, suonavamo. «Ma cèrto - si riscuote eravamo in cinque: cinque persone alla pari. Avevamo sempre gli stessi obiettivi, e le opinioni di ognuno erano ascoltate con eguale rispetto». Gli si incrina la voce: «E funzionavamo molto bene». Maria Chiara Bonazzi Anche 60 prove prima di incidere. «Lennon non amava la sua voce, la distorceva in registrazione». In aprile grande asta dei loro oggetti caso di "Because" ("Abbey Road", I Beatles, sotto George Martin. In una chiesa sconsacrata ha fatto il suo studio di registrazione

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