Tangentopoli? La solita zuppa

Tangentopoli? La solita zuppa Ogni giorno usiamo migliaia di frasi fatte; ora un dizionario le raccoglie tutte Tangentopoli? La solita zuppa / modi di dire, spie d'un mondo che non cambia IFORMA istituzionale», «sistema uninominale», «commissione bicamerale», «partito trasversale», «Stato federale», «dazione ambientale», «immunità parlamentare»... tutte cose su cui esistono opinioni variegate. Ma un fatto è certo: che mentre cose molto vecchie ricevono nuovi nomi («dazione ambientale»), le poche cose nuove ricevono designazioni polverose, che sanno di Prima Repubblica («commissione bicamerale», «partito trasversale»). E quando sorge una formula linguistica relativamente originale (come: «il partito che non c'è») la si usa ingordamente, fino alla soglia del fastidio. L'oratoria dei politici italiani non è mai stata quel che si dice un'oratoria brillante: ma c'è qualcosa in più, qualcosa che concerne gli stessi meccanismi della lingua. Stiamo parlando di «modi di dire», e sè ne parla anche perché ora disponiamo di un dizionario loro dedicato (B. M. Quartu, Dizionario dei modi di dire, Rizzoli). Va detto subito che dal punto di vista linguistico (della linguistica scientifica) i modi di dire sono assai difficili da catturare. Non sono singole parole, e questo è chiaro. Assomigliano più che altro alle cosiddette «frasi fatte», ma non sono frasi. Vanno tenuti ben distinti dai proverbi. Non sempre sono espressioni figurate. Talvolta contemplano la presenza di un verbo (come in: «essere culo e camicia») talvolta invece no (come in: «colazione al sacco»). Sono pezzi di frase, che ricorrono nel discorso, ed è difficile darne una definizione più esauriente. Ognuno dei diecimila modi di dire elencati nel dizionario è corredato da una breve definizione, e l'opera è ordinata alfabeticamente, per «lemmi portanti» (da «essere un abatino)), a «sempre la solita zuppa))). La «solita zuppa», la «commissione bicamerale»: il collegamento è malizioso, ma le pagine dei giornali (specie i titoli e i sommari degli articoli) spesso oscillano tra il linguaggio tecni¬ co e il patrimonio dei modi di dire. Cancelliamo da queste pagine soggetti e complementi oggetti (Craxi, Di Pietro, Riina, Juventus, Manzi, psi, Italia, Rai, Bossi; ma anche, appunto, «referendum», «bicamerale», «avviso di garanzia», «latitanza»...). Ciò che resta è in gran parte un cumulo dei vecchi modi di dire: «... è sull'orlo della scissione», «... è nella bufera»; «... vuota il sacco», «... è nel mirino di...», «... lancia l'allarme», «... sarebbe sotto tutela...», «... è sull'orlo del baratro...». E poi gli «occhi del ciclone», le «pompe magne», i «porci comodi», le «fosse dei serpenti» con i «nidi di vipere» e «vipere in seno», «castelli di carta» con le «corti dei miracoli»; i «conti della serva» e i «libri dei sogni», «acque nel mortaio», «acque chete», «fichi secchi»... E la riforma dov'è? Il «nuovo che avanza» (per alcuni) ovvero il «nuovismo» (che spaventa altri) non sta producendo nuovi modi di dire. Al massimo ne ricicla di vecchi («tira una gran brutta aria», «lo spettro della disoccupazione»); di tanto in tanto ne importa altri dall'estero («la tempesta nel deserto» di Bush; «la madre di tutte le battaglie» di Hussein o 1'«epoca di stagnazione» di Gorbaciov); e come si è detto inflaziona subito quei pochi che inventa. A dire il vero, il fenomeno è, almeno per certi versi, fisiologico. Tra il corpus delle singole parole disponibili e il livello affiorante del discorso, i modi di dire costituiscono un tessuto intermedio, un abito mentale rassicurante, una sorta di maglia della salute linguistica, che protegge e tiene al caldo con affettuosa e discreta efficacia. Non possiamo pretendere che sia anche gran che elegante: ma è proprio grazie ai modi di dire, alle frasi fatte, a quelle schegge di già-detto e di già-sentito che esprimiamo i nostri pensieri, e comprendiamo quelli altrui. E infatti la percentuale di modi di dire aumenta ulteriormente nella prosa dei divulgatori scientifici, e di chiunque faccia il mestiere di parlare chiaro. Le diecimila voci del dizionario rizzoliano ci fanno capire che non si tratta di quelle due o tre locuzioni prefabbricate prese in giro dagli spiritosi («aspettare un attimino», «lei non sa chi sono io», «... nella misura in cui...»), ma che i modi di dire sono la trama di ogni comunicazione linguistica. Una pagina a caso: «scherzo di natura», «scherzo pesante», «schiaffo morale», «essere schiavo di...», «avere la schiena di vetro», «curvare la schiena», «pugnalare alla schiena»... «a un tiro di schioppo», «mettersi sulla scia»... Come potremmo rinunciare a questi giri di parole? «Schiena di vetro» a parte, sono modi di dire tuttora frequentis simi, e il problema è semmai quello di selezionarli, saperli distinguere. Oggi va moltissimo, sui giornali, «essere nel mirino». Ci sono giorni in cui la prima pagina di un quotidiano parla simultaneamente di tre o quattro mirini, anche assai diversi tra loro. Mafiosi nel mirino della polizia (e viceversa), politici nel mirino dei magistrati (e viceversa). Nel mirino possono starci anche en tità astratte (inflazione, evasio ne fiscale, gioco a zona delle squadre di calcio) e dietro al mirino ci stanno i buoni ma anche i cattivi. Questa metafora bellica, però, parla da sola, proprio perché è applicata a cose tanto diverse (il suo significato è «l'incombenza», la sensazione che stia per succedere qualcosa, che il grilletto stia per essere azionato). E quali connotazioni avrà portato con sé il passaggio da «comunicazione giudiziaria» a «avviso di garanzia»? E quando si scommette che «risaliremo la china», un modo di dire tanto vetusto costituisce una promessa o una minaccia? Una lingua senza modi di dire non esiste: quel che oggi ci deve preoccupare è semmai l'anzianità di servizio dei modi di dire che usiamo, vecchi e inefficaci. E' un segno certo che le cose stanno cambiando poco, e troppo lentamente, perché i modi di dire non raccontano solo come si comunica, ma anche e soprattutto come una società pensa. Ci danno il ritratto di una mentalità, e quella mentalità è collettiva, ed è la nostra. Stefano Bartezzaghi Da «bicamerale» a «libro dei sogni», la politica accumula vecchie fraseologie pcontemplano la presenza di un verbo (come in: «essere culo e camicia») talvolta invece no (come in: «colazione al sacco»). Sono pezzi di frase, che ricorrono nel discorso, ed è difficile darne una definizione più esauriente. Ognuno dei diecimila modi di co e il patrimonio dei modi ddire. Cancelliamo da queste pagine soggetti e complementi oggetti (Craxi, Di Pietro, RiinaJuventus, Manzi, psi, ItaliaRai, Bossi; ma anche, appunto«referendum», «bicamerale«avviso di garanzia», «latitanza»...). Ciò che resta è in graparte un cumulo dei vecchi mo

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