Lo scrittore è un rigattiere (e non lo sa)

Lo scrittore è un rigattiere (e non lo sa) Mobili, cocci, ampolle e monete: gli «oggetti desueti» della letteratura occidentale in una ricerca durata 30 anni Lo scrittore è un rigattiere (e non lo sa) "7ST1 HE cosa unisce le soffitte J ' polverose dove si svolge il I Processo di Kafka e le im1 i mense soffitte dove si Sài perde il Grand Maulnes di Alain Fournier? Che cosa accomuna le «carcasse di mobilia ricoperte di muschi» nell'JsoZa di Arturo di Elsa Morante, lo «strame di cose rotte» che riempie le capanne dei negri nell'Urlo e il furore di William Faulkner, i relitti marini di Sotto il vulcano di Malcolm Lowry, il «ciarpame inidentificabile» di Giorni felici di Samuel Beckett? Il fantoccio d'una reclame che compare in una pagina degli Indifferenti di Moravia è parente più o meno lontano dei «dolciumi a forma di cactus» di cui è ghiotta la Lolita di Nabokov? In questo elenco infinito, solo apparentemente insensato, figurano naturalmente l'accozzaglia di roba vecchia sulla scrivania di Piliuskin nelle Anime morte di Gogol, le sanguisughe, i rospi, le formiche carnivore e quant'altro galleggia in Cent'anni di solitudine, la testa del capodoglio del Moby Dick di Melville, la foresta impenetrabile di Cuore di tenebra di Conrad, i sozzi panni del Buscòn di Quevedo e l'orinale che spande negli Epigrammi di Marziale, senza dimenticare, ben s'intende, «le buone cose di pessimo gusto» di Nonna Speranza nella famosa poesia di Guido Gozzano. Tutte queste entità - e un gran numero d'altre - fanno parte di un'unica categoria, scoperta, studiata, spiegata in un libro straordinario e impagabile, che l'editore Einaudi manda nelle librerie in questi giorni: Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti - come si legge nel sottotitolo del volume - cercate e scovate frugando in centinaia di opere letterarie, in prosa e in versi, di ogni epoca, dalla Bibbia a Gadda, situate in cima al Parnaso o nascoste nelle letture clandestine, con un solo limite: i testi appartengono tutti alla tradizione della cultura occidentale. Il risultato sono cinquecento pagine fitte fitte, che sono costate quasi sei lustri di lavoro, metà della vita, al loro autore, Francesco Orlando, nato a Palermo cinquantanove anni fa, docente di Lingua e letteratura francese all'Università di Pisa (dopo esserlo stato anche a Napoli e Venezia). Una fatica titanica, - sette anni solo per la stesura - paragonabile a quella di Stefano D'Arrigo perHorcynus Orca, interrotta da ricorrenti crisi depressive: «Mi sovrastava la mole dei libri da consultare. Mi opprimeva il dubbio di fare qualcosa forse inutile. Dio mio, mi dicevo, riuscirò mai ad arrivare alla fine?». Orlando ha trovato un sostegno contro l'insicurezza e i momenti di depressione nelle letture ad alta voce di abbozzi dell'opera, in piccoli cenacoli, a tu per tu con gli amici: «Senza il conforto di quelle letture, senza quelle occasioni di confronto, nel solco di una tradizione ottocentesca, certamente non ce l'avrei fatta». Allievo preferito del «mostro» Ciò rimanda ad altri tempi e altri luoghi: la casa palermitana del principe Giuseppe Tornasi di Lampedusa, dove il giovane Orlando, alla metà degli Anni 50, veniva ricevuto tre volte la settimana, sempre alle sei del pomeriggio, per leggere ad alta voce le lezioni di letteratura inglese che il principe scriveva per lui. Apriamo una parentesi. Orlando è stato il dattilografo del Gattopardo, a mano a mano che Tornasi di Lampedusa glielo dettava. Studente di giurisprudenza, con un talento per la tecnica poetica e un interesse professionale per la letteratura, per due anni fu un allievo prediletto del «mostro», come veniva chiamato il creatore del principe di Salmas. «Francesco era molto più preco¬ cemente colto di tutti noi - ricorda Gioacchino Lanza Tornasi, figlio adottivo dell'autore del Gattopardo, nell'introduzione alla raccolta delle lezioni inglesi (Mondadori 1990) -. Era in grado di inserirsi con pertinenza nei tornei di citazioni poetiche...». Quell'esperienza si interruppe malinconicamente. Lampedusa rappresentava un mondo aristocratico, Orlando apparteneva a un ambiente borghese; la differenza di classe si traduceva in una diversa concezione della letteratura, come Orlando ha raccontato in un libriccino, Ricordo di Lampedusa, uscito da Scheiwiller nel 1963, purtroppo quasi introvabile. Il maestro guardava alla letteratura con una specie di raffinato snobismo, mentre per l'allievo essa costituiva un terreno di lavoro metodico e un'ipotesi professionale per il futuro. La sua decisione di intraprendere la carriera accademica fu salutata molto freddamente. Ritornando al libro, non si può non vedere il legame sotterraneo con gli anni palermitani: da una parte le sterminate letture di cui era legittimamente orgoglioso Tornasi di Lampedusa, dall'altra le sterminate letture necessarie per produrre Gli oggetti desueti; allora le gare di citazioni poetiche - Dante, Ariosto, Tasso, Baudelaire - in casa del principe, in cui Orlando eccelleva e poteva battere i Lampedusa, oggi la massa inverosimile di citazioni che brulica nei labirinti di questa riduzione dell'universo letterario a un suo unicum marginale: gli oggetti desueti, quelli cioè che hanno perduto la funzionalità primaria. E' come se l'antico sodalizio, bruscamente spazzato via, riemergesse nelle forme di una grandiosa tassonomia. «Tutto è cominciato attorno al 1966, quando insegnavo alla Normale di Pisa, con delle schedature un po' casuali, senza ancora un disegno preciso - ci racconta Orlando -. Per otto anni ho schedato così come mi capitava. Ma dal 1974 al 1986 le ricerche sono diventate sistematiche: avevo ideato un sistema classificatorio che a quel punto è diventato un'ipoteca su tutte le mie letture in quei dodici anni. La lentezza della stesura, sette anni, è dovuta essenzialmente a due cose: il desiderio di offrire al lettore tutti gli elementi che servo¬ no a capire il libro dal suo interno e la necessità di montare i materiali con una serie di commenti critici, per portarli da zero al mio disegno. Perché ero perseguitato da un incubo: non sarà alla fine un elenco del telefono?». In realtà, Gli oggetti desueti è tutt'altro: un pozzo senza fondo di sorprese, una carta geografica di percorsi letterari, un caleidoscopio di immagini, un gioco di scatole cinesi: dietro Ossian scorgi Goethe, dopo Dickens ecco Cechov, dalle streghe del Macbeth alle magie di Celestina, parti da Giro di vite e arrivi a Dracula di Stoker, entri furtivamente nel castelletto dell' Uòmo senza qualità e ti ritrovi nella villa da scapolo con vecchia madre di Gadda. Saltiamo con naturalezza di opera in opera come Cosimo Piovasco di Rondò saltava di albero in albero. Ma il nostro ambito di movimento è situato piuttosto a un livello inferiore che superiore: gli oggetti desueti sono un po' il proletariato della letteratura. Finora sono stati snobbati. «E' importante considerare che la quasi totalità dei passi che cito ci dice Orlando - secondo le tradizionali analisi critiche verrebbero saltati senza pietà». Ma come mettere ordine nel caos? Come permettere al lettore di orientarsi? Con 12 categorie che classificano i vari materiali. Sono suddivise in coppie complementari ma contrapposte, positivo contro negativo. Compongono quello che Orlando chiama un albero semantico, in cui si rispecchia la «corporeità non funzionale» degli oggetti letterari. Al «monitorio-solenne» appartiene la descrizione di dipinti di rovine, con il marmo delle tombe che cade in polvere, nelle critiche d'arte di Denis Diderot, mentre nel «frusto-grottesco» rientra la cassa dove un avarissimo prete tiene chiusi i panini da messa nel Lazarillo de Tormes. Il «venerando-regressivo» della camera di Faust, nel poema di Goethe, «pertugio» e «carcere» ingombro di libri e stipato di ampolle, si contrappone al «logoro-realistico» della vecchia zimarra di don Abbondio e della toga consunta di Azzecca-garbugli. I frustini, i berretti e le canne da pesca conservati nella camera di George, chiusa da dieci anni, in Fiera della vanità di Thackeray fanno parte del «memore-affettivo», ma il «cornetto di latta arrugginito», usato come calzascarpe e perduto in un grande albergo, che incontriamo in un brano di Xenia II di Montale, è «desolato-sconnesso». La categoria di origine più antica, per Orlando, è il «magico superstizioso», di cui rintraccia straordinari elenchi nelle Opere di Orazio o nelle Metamorfosi di Ovidio; ad essa si oppone il «sinistro-terrifico» che nel nostro secolo è presente nella produzione di consumo, ma che abbonda nella letteratura dell'800. Il gruzzolo di Robinson «Prezioso-potenziale» è il gruzzolo di monete custodito nella caverna di Robinson Crusoe, arrugginito e ossidato, ma pur sempre buono per farlo diventare ricco. «Sterile-nocivo» è il cumulo di rifiuti fra canali e campielli in Morte a Venezia di Thomas Mann. Se i vecchi paramenti di cui si circonda il canonico protagonista dell'Olmo del viale di Anatole France fanno parte del «prestigioso-ornamentale», le torte e i torroni elencati da Flaubert in occasione del matrimonio di Emma Bovary rientrano invece nel «pretenzioso-fìttizio». Finito il libro, anzi avuto fisicamente in mano il succo di 30 anni di lavoro, Orlando si sente «stanco, svuotato, ma curioso». Curioso di come l'opera sarà accolta, se ta sua teoria sarà adottata. «Chissà se un domani, davanti a un castello in rovina o a una chiesa sconsacrata, qualcuno dirà: è venerando-regressivo». Alberto Papuzzi Dai libri di Faust ai dolci di Moravia: ciarpame e tesori nascosti nello studio di Francesco Orlando, il «dattilografo» del «Gattopardo» ... % A fianco William Faulkner. A sinistra, Franz Kafka. Sotto Giuseppe Tornasi di Lampedusa col figlio adottivo Gioacchino In «Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura» Francesco Orlando ha «frugato» in centinaia di opere letterarie. Sotto Samuel Beckett: nel suo «Giorni felici» parla di «ciarpame inidentificabile»