Il colpo di fionda del Davide ceceno
Il colpo di fionda del Davide ceceno mDIARIO DI MOSCA Il colpo di fionda del Davide ceceno ri MOSCA À CCO, lo sapevo, adesso l'Occidente col piffero che ci darà i soldi». Il giovanotto che mi vende le Marlboro ogni mattina mi guarda attraverso il vetro del suo chioschetto. Pensa - lo vedo nei suoi occhi che, tra poco, gli porteranno via anche questo. Ma chi? «I comunisti, questi qui, che hanno fatto fuori Eltsin, adesso cominceranno a statalizzare tutto». Lui pensa davvero che Khasbulatov & company siano i restauratori del comunismo. L'ha letto sui giornali. Mentre Eltsin, per lui, è la carta di credito che gli ha permesso di comprare in rubli il ben di dio che esibisce nella sua vetrina: roba che viene tutta dall'occidente. E Ruslan Imranovic, il Davide ceceno che ha abbattuto il Golia Russo con la fionda implacabile del voto elettronico, sembrava ieri mattina che parlasse proprio a lui - a questo Ivan-commerciante che ha già la Volvo di seconda mano parcheggiata di fronte - per smentire le sue nere previsioni. «Adesso strilleranno che l'Occidente non ci darà più aiuti - aveva appena gracchiato dalla radiolina lo speaker Ma questa è la più grossa delle sciocchezze». Ivan tira un sospiro di sollievo. Ma è presto. Ruslan continua: «Il problema della Russia non è l'aiuto dall'esterno». Ivan sospende il fiato. La voce di Ruslan diventa stentorea: «Facciamo piuttosto causa comune con l'Occidente per mandare aiuti in Somalia, in Etiopia». Ivan non sa che pesci pigliare. La «causa comune con l'Occidente» gli piace. Ma la storia degli aiuti alla Somalia gli riesce ostica. Intanto Ruslan prosegue, con lo stile di Bruto mentre pronuncia l'orazione funebre in onore di Cesare: «I signori Reagan e Bush sono uomini di valore. Hanno promesso un sacco di cose a Gorbaciov e Shevardnadzeper avere in cambio la caduta I del Comecon, poi del patto dI Varsavia, poi dell'Urss. Ma non ci hanno mai dato un centesimo...». Ivan assente pensoso. In effetti non è arrivato granché, anche se del Comecon, a lui, per la verità, «non gliene frega un fico secco». «E hanno fatto bene! - conclude a sorpresa Khasbulatov - Perché mai gli operai americani dovrebbero pagare i nostri errori?» Qui Ivan, finalmente, capisce. Ruslan non parlava solo per lui. Parlava all'orgoglio russo, che se n'è stato acquattato nelle periferie delle città, nelle campagne lontane, nelle caserme delle province dell'impero, nella gente semplice che si è vista crollare addosso tutto senza avere in cambio niente, neanche quello straccio di benessere che, visto da lontano, sembrava così facile da raggiungere. Adesso quell'orgoglio viene fuori. Non importa se ben fondato o meno. E non solo dalle parole veementi di Khasbulatov che, appena un anno fa, stava sulle barricate con Eltsin, che ha applaudito a ognuno di quei crolli. Come Ivan, come milioni di russi. Come il mio amico Evghenij Ambarzumov, che incontrandomi mi aveva ricordato, qualche giorno fa, una mia piccola profezia dell'agosto 1990: «Se cade Gorbaciov sarete spazzati via tutti, voi democratici che l'avete combattuto». E che ieri, finito il Congresso, dice serio, preoccupato quasi come Ivan-del-chiosco: «Se la situazione si aggraverà bisogna pur dire che l'Occidente ne porta una parte di responsabilità. La gente comincia a pensare di essere stata presa in giro». Giuliette Chiesa
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