La cultura di Stato? «Solo debiti e abusi» di Raffaele Crovi

La cultura di Stato? «Solo debiti e abusi» Presentato il progetto de di riforma La cultura di Stato? «Solo debiti e abusi» //poeta Crovi: basta con i deficit che poi il ministero ripianava ROMA. «E' vero, ci troviamo in una situazione di scollamento generale. Non sappiamo quali sono le istituzioni pubbliche con cui avremo a che fare. Ma ugualmente credo che il nostro lavoro sia produttivo» dice Raffaele Crovi, poeta e scrittore, chiamato nel novembre scorso da Martinazzoli a piazza del Gesù come responsabile del dipartimento cultura della de. La situazione politica è delle più confuse. La casa democristiana è vuota e silenziosa. Ma Crovi si dice «ottimista, non incosciente» e presenta un primo documento che disegna sia la nuova etica che la de vuole adottare per un migliore funzionamento delle istituzioni culturali nel campo dello spettacolo, sia i cambiamenti concreti delle leggi e delle prassi che hanno portato ai disastri attuali. Sono quattro paginette dattiloscritte, firmate in ordine alfabetico - dall'intero gruppo che ci ha lavorato. Il primo nome è quello di Silvia Costa, l'ultimo quello di Martinazzoli. La voglia fondamentale è quella di voltare pagina, di porre fine alla gestione del bene pubblico sul modello-Tangentopoli, di affermare regole nuove «nella speranza che possano poi essere applicate». «Martinazzoli - ricorda Crovi - alla prima riunione del dipartimento disse che tutti i partiti, compreso il nostro, hanno sempre scambiato la cultura per l'informazione, vista come strumento di aggregazione di consenso.-Crpdp che questo sia il momento per vedere la cultura come uno strumento che può aiutare a capire i protessi di trisformàziòne'tìena società». C'è bisogno - in concreto - di provvedimenti pensabili a lungo termine (un nuovo grande ministero della Cultura, m sostituzio- Raffaele Crovi ne di quello dello Spettacolo? l'accorpamento degli enti - biblioteche, conservatori, istituti di cultura all'estero, accademie che dipendono da sparpagliate istituzioni?), per evitare l'attuale insensata dispersione di soldi ed energie. Ma, sull'immediato, vanno affrontati problemi ormai incancreniti («Il dissesto degli enti lirici sta impedendo la creazione del prossimo cartellone»). Bisogna pensare alla privatizzazione del pubblico impiego, alla paralisi istituzionale degli enti culturali, all'eventuale creazione di un Comitato interministeriale per la cultura. E ci sono misure e principi subito adottabili. Basta, ad esempio, con «gli interventi diretti dello Stato nel merito delle scelte culturali» (quello che - al ministero dei Lavori Pubblici ha consentito il «caso Anas»): «E qui ribadiamo un principio costituzionale disatteso» precisa Crovi. Lo Stato, invece, coordini i mezzi e gli strumenti per promuovere la qualità professionale e la ricerca. I ministeri decidano la distribuzione dei finanziamenti su parametri standard triennali. Sia precisa la distinzione fra il ruolo di indirizzo e quello di gestione, fra competenze centrali e regionali. Sia affidato a moderni istituti pubblici il compito di garantire il sostegno dello Stato. Nascano Fondazioni per coordinare finanziamenti pubblici e privati, in autonomia e nello spirito del decentramento. «Si scardinano così usi e abusi inveterati - chiarisce Crovi -. Si pone fine all'assistenzialismo che ha creato la cultura del dfBito, la deresponsabilizzazione degli enti, l'alibi del deficit praticato in modo spinto, pensando che poi i ministeri vanno a ripianare i debiti». [1. m.] Raffaele Crovi

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