MITTERRAND E IL CAMPANILE di Raymond Aron

MITTERRAND E IL CAMPANILE DALLA PRIMA PAGINA MITTERRAND E IL CAMPANILE no questo senso quasi doloroso del paesaggio, della lacerazione che crea l'uomo politico - e dunque la Storia - incidendo sulla natura. Che non sapevano, come disse una volta Raymond Aron a proposito di Giscard, «che la storia è tragica». Mitterrand l'ha sempre saputo, come lo sapeva il Generale: rivale non ordinario perché segretamente adorato, rivale da emulare e però anche surclassare. Rivale mitico, s i miti si sa non hanno discendenza. Il dramma di Mitterrand, a una settimana dalle elezioni legislative che daranno probabilmente la maggioranza all'opposizione gollista e giscardiana, è precisamente questo: cosa fare del proprio personaggio, della costruzione che è stato il proprio operato di dodici anni. Come iscriverlo in un paesaggio - nella Storia - senza aver l'aria di ripetere i gesti, divenuti mitici, di De Gaulle. Nessun grande uomo ama copiare. Ogni grande uomo vorrebbe essere un iniziatore. Perdendo la maggioranza parlamentare Mitterrand non sarà costretto a la- sciare la presidenza, che scade nel '95, ma resta il dramma di chi non ha trovato il «suo» modo di andarsene, il paesaggio che più gli corrisponde, dentro cui rientrare. Che Mitterrand volesse incarnare non solo un progetto ma anche un paesaggio lo si è visto subito, nella campagna elettorale che l'ha condotto alla vittoria dell'81. La Francia allora era ricoperta da grandi manifesti soffusi di rosso e di azzurro, in primo piano era ritratto il suo volto e sullo sfondo il tipico villaggio della Francia rurale, borgo raccolto come due mani oranti attorno alla sagoma dell'umile, ma ardito campanile. La Francia dei clocher, dei campanili sopravvissuti alla Rivoluzione e riabilitati come sacre vestigia nell'Ottocento che cercò di farne l'emblema d'una Nazione che è cristiana, oltre che repubblicana. Nell'Ottocento i modernisti chiamarono questa Francia campanilista. Ma era «France éternelle», era Persona-Francia anche quella: Francia che dura, con saggezza storica Mitterrand lo sapeva. La vittoria dell'81 fu esteriormente vittoria del progetto moderno e progressista che è il socialismo. Più in profondità, fu il rigetto impaurito della modernità cittadina incarnata da Giscard: delle sue credenze tecnologico--mondialiste, della sua indifferenza al paesaggio, po¬ co importa se spirituale come in De Gaulle o terrigno come in Mitterrand. Giscard non aveva suoi paesaggi. Nel '74 i manifesti lo ritraevano accanto agli amici politici, alla moglie in twin-set: in famiglia. Sciogliendosi in Europa, la Francia diventava più piccola, non s'estendeva oltre le mura di casa. Progetto socialista e paesaggio mitterrandiano per un certo periodo hanno fatto tutt'uno, stranamente mescolandosi: mescolando l'idea del progresso e quella d'un mondo da conservare, d'un mondo-campanile minacciato dalle dissipazioni moderniste di Pompidou, di Giscard. «L'uomo politico non può far altro che gestire l'imprevedibile», aveva detto Giscard, e coprendo l'avvenire di nebbia negava ai francesi la passione del Pian, della pianificazione del futuro, non lasciava loro che il presente, subito finito. Questo futuro invece Mitterrand l'ha restaurato. L'ha restaurato ambiguamente, mettendo insieme quel che non era compatibile: lo spirito del campanile, e quello del piano socialista. Ma ha pur sempre restituito, al futuro, una prevedibilità. Nel piccolo villaggio non disturbato dal moderno si possono programmare i giorni, le ore. E nel progetto socialista pure: la futura società è addirittura modificabile, reinventabile. L'armonia tra uomo e paesaggio non è naturale come nel borgo ma almeno la si può sognare. La metafora del paesaggio, è chiaro, non spiega per intero 1 ascesa e il declino del mitterrandismo. Ma è vero che il Presidente ha perso oggi, assieme al volontarismo socialista dei primi anni, anche il «suo» paesaggio. In questi dodici anni il Presidente ha fatto cose assai stimabili nonché cose che lo sono molto meno, e il suo bilancio non è tutto negativo come pretendono oppositori e successori che «istruiscono non solo sulle rovine ma anche sugli edifici del Presidente. Alleandosi ai comunisti, Mitterrand ha trasformato in un esercizio di furberia l'idea stessa del progetto politico, avvilendo quest'ultimo durevolmente, ma è anche riuscito a ridurre un partito che i suoi predecessori ali Eliseo hanno sempre surrettiziamente protetto, per render più impaurente l'alternanza. Diceva Malraux: «Fra noi gollisti e i comunisti: il nulla». Con strategia egualmente astuta, Mitterrand ha imbarcato i comunisti, li ha ridotti, ha lasciato loro il monopolio delle convinzioni, e ha consegnato ai socialisti il monopolio delle responsabilità, rendendoli una volta per tutte credibili come forza di governo e di gestione economica, il Nulla di Malraux è divenuto qualcuno, ha oggi uno statuto, un nome. I socialisti sono adesso usati dal potere, ne hanno anche abusato, sono in parte ancora succubi della male¬ dizione di Malraux. Ma se l'alternanza in Francia è divenuta normale, non traumatica, lo si deve anche a Mitterrand. Resta la questione del paesaggio, del progetto. Con l'andare del tempo, l'uno e l'altro si sono sfocati, hanno perso consistenza. Nell'83 Mitterrand ha rinunciato alle illusioni pianificatrici socialiste, ha dovuto riconoscere che il futuro non era scritto tutto in anticipo, che l'Imprevedibile - connaturato al capitalismo - esisteva. Ma che fare con esso: acciuffarlo come un'opportunità alla maniera di De Gaulle; o limitarsi ad amministrarlo, come Giscard? Mitterrand l'ha accettato controvoglia, come fosse un calice da bere per forza. E gli Anni Ottanta sono stati gli anni del cinismo, della rassegnazione rancorosa, spesso tracotante, delle corruzioni multiple: se il criterio è l'efficacia imprenditoriale - si sono detti tanti socialisti - allora diventiamo i campioni dell'indifferenza morale, diventiamo «come tutti gli altri», magari più spudorati ancora di tutti gli altri. Non c'è più progetto, non più futuro visibile né edifici che cercano le armonie col paesaggio. Nell'ultimo film di Rohmer, il sindaco socialista del villaggio con campanile, in Vandea, è un piccolo arrivista che ottiene sovvenzioni dai ministeri parigini per costruire una «mediateca», un edificio «multiculturale» che soddisfa solo l'architetto e per il resto stona con tutto: con il vecchio salice davanti al vetusto campanile, con i bisogni degli abitanti, con il paesaggio. Qualche giorno fa, alla televisione, Mitterrand ha scelto di colloquiare con gli elettori di varie regioni, ha tentato un estremo contatto con i «campanili» di Fronda. La disoccupazione, l'immigrazione, l'Europa: le paure del futuro non mancavano, ma finito era l'ardente volontarismo del Presidente. «L'evoluzione tecnica crea per forza disoccupazione. E che fare contro l'evoluzione, nessuno può opporsi», ha concluso rassegnato. Diffìcile in queste condizioni rientrare nd proprio paesaggio, nella terrigna patria che è il villaggio col campanile. D'altronde fu anche più ardua la scelta paesaggistica del Presidente socialista. Mitterrand è un continentale, ha scelto le pianure e i declivi dell'entroterra: difficile tornare nel villaggetto sconfìtti, le radia strappate, e poi ripartire. De Gaulle ha scelto il mare: l'Atlantico per di più. Lui stesso diceva a Malraux: «Sono come il personaggio del Vecchio e U more di Hemingway, non ho portato a terra che lo scheletro del pesce. Ma in un mondo che rimette le pantofole, non c'è più spazio per me». Barbara Spinetti