Zoff: io, l'odiato antizonista

Zoff: io, l'odiato antizonista C'è Lazio-Milan, e il tecnico al quale non perdonano le scelte tattiche si sfoga Zoff: io, l'odiato antizonista «Se vinciamo diranno che siamo arrivati dopo la Roma Se perdiamo o pareggiamo sarà colpa del difensivismo» LA VITA AGRA DI UN MITO ROMA DAL NOSTRO INVIATO «Ci mancava solo che la Roma battesse il Milan». Dino Zoff sa già cosa lo aspetta: «Tanto per cominciare, un altro Milan. E poi, le solite frecciate: se vinciamo, perché siamo arrivati secondi; se pareggiamo, perché la Roma eccetera; se perdiamo, Dio non voglia, perché io sono un difensivista». Sempre di cattivo umore... «Ma no. E' che qui a Roma l'unico appoggio mi viene dalla società. Gli altri, tutti contro. Giornali, radio, tv. Un bombardamento continuo. Peggio che a Milano, suppongo. E molto peggio che a Torino, si fidi. Se la Lazio perde, è colpa mia. E se vince, non è mai merito mio. Hanno coniato uno slogan: con quella squadra lì, chiunque avrebbe fatto gli stessi punti, se non di più. A questo siamo arrivati». Così impara a non giocare a zona. «Già. Non me lo perdonano. Ma non ci sono solo io. Penso al Bianchi della scorsa stagione e al Boskov di oggi: la lobby della zona, a Roma, è fortissima, e chi non si adegua, viene impallinato. I risultati non contano. Il bello è che non ho preclusioni. Zona, marcature all'italiana: miscelo, faccio del mio meglio». Il suo contratto scade fra un anno. «Con Cragnotti, nessun proble¬ ma. Ma se un certo vento non cambia, chissà, non escludo di essere io ad andarmene. C'è un limite a tutto, anche agli esami». A fine agosto dichiarò: molti indizi dicono Juve. «Tutto sbagliato: la profezia sulla Juve, e quell'altra sul Milan. Avrei scommesso su un arrivo in volata». Ma la Juve? «Si è rotto qualcosa. I nuovi non hanno legato con i vecchi». Trapattoni addio? «Il marchio di fabbrica resta valido. Non c'è un calcio di ieri e un calcio di oggi. Più semplicemente, ci sono giocatori più o meno bravi, più o meno adatti». In generale, si gioca peggio o si gioca meglio? «Meglio. Le nuove regole hanno stimolato la ricerca. Il livello tattico e tecnico è lievitato». Non c'è pace per gli arbitri. «Bisogna distinguere. I giovani mi piacciono, certi vecchi no». Con l'abolizione dei premi partita, è finita un'epoca. «Al tempo. Alcune direttive mi puzzano di demagogia. Tu federazione mi tagli i premi? E allora io giocatore mi faccio aumentare l'ingaggio. La strada da battere era, ed è, un'altra. Questa: il consiglio federale fissi di volta in volta, in base alla forbice costiricavi, quanto può spendere una singola società, senza entrare nel merito. E controlli, con spietatezza, che non venga bruciata una lira in più. Resto dell'idea che, in alcuni casi, il premio salvezza abbia ancora un senso. Esempio, il Foggia di Zeman. La sua (eventuale) salvezza vale uno scudetto». A proposito di Zeman, lui sì che la zona la sa fare. «Che furbacchione. Ha cambiato registro, solo che nessuno se n'è accorto. L'anno scorso, tutti avanti. Quest'anno, tutti in contropiede. Noi, a Foggia, siamo stati battuti così. E da quel che ho visto in tv, pure la Juve». Qual è la squadra rivelazione? «L'Udinese. E Balbo, l'elemento che più mi ha impressionato». E il giocatore più forte del mondo? «Paolo Maldini. E non da ieri: come minimo, da tre anni. Merita il pallone d'oro». Sorpreso dall'exploit della Roma? «No, assolutamente. Che la Roma fosse una squadra tosta, l'avevo detto in epoca non sospetta. Ma siamo alle solite, Boskov non fa la zona pura». Le ultime su Gascoigne? «Averne, di fuoriclasse come Gazza. Il calcio è fatto anche di fantasia, e non solo di gabbie. Gascoigne, Savicevic: l'occhio vuole la sua parte. In Italia continuano a menarla con gli schemi, ma poi a Marsiglia, mi corregga se sbaglio, non gioca Van Basten e il Milan va fuori». Allude all'islamismo di Sacchi? «Grande tecnico, l'Arrigo. Trovo però esagerata l'enfasi con la quale stiamo preparando lo sbarco in America. Di nazionali capaci di qualificarsi per un Mondiale, un calcio così ricco come quello italiano è in grado di sfornarne almeno due o tre». Il segreto del Milan? «Più che la rosa, scelgo la difesa. Dipende da Baresi». Il giocatore, oggi: parliamone. «Più egoista. E, di conseguenza, più difficile da gestire. Con i soldi che girano, e gli interessi mossi dagli sponsor, ognuno fa parrocchia a sé. Il gioco di squadra, inteso in senso lato, viene dopo. L'esclusione è vissuta come uno scandalo, un'ingiustizia. Una volta, il singolo non poteva che vincere attraverso la propria società. Ora può farle anche a titolo personale. Una partite giocata bene in nazionale, tipo Casiraghi a Oporto, basta a mascherare una stagione negativa». E l'allenatore? «Siamo, sinceramente, sopravvalutati. Zona, pressing, fuorigioco, tutto quello che le pare: ma poi decidono i ciuffi d'erba». Vogliono fondere Coppa Campioni e Coppa Uefa. «Mi oppongo. Sarebbe come prendere Wimbledon e Flushing Meadows, e farne un unico torneo. Assurdo. Ogni Coppa ha il suo fascino. Soprattutto adesso che il calcio italiano non ha avversari, e che una delle prime dieci squadre in classifica, presa a caso, arriverebbe sino in fondo dovunque. A occhi chiusi». Roberto Beccanti™ Zoff: «Solo la società è con me»