Ottimo film camerata Leni di Gianni Rondolino

Ottimo film camerata Leni Tokyo riscopre la Riefenstahl Ottimo film camerata Leni JL 22 agosto 1992 Leni Riefenstahl compì novantanni. In silenzio, senza farsi notare, concedendo qualche intervista e ripetendo ciò che aveva detto venti o trentanni prima - anche al nostro giornale, nelle dichiarazioni rilasciate a Emanuele Novazio, pubblicate il 23 agosto 1992 -, la grande regista nazista parve appartarsi, chiudersi definitivamente nella sua solitudine a Monaco di Baviera. Si era lamentata di «non essere stata fra quel due per cento di tedeschi che erano nella resistenza» e pertanto di «aver distrutto la sua vita per questo». E sembrava sincera nel rinnegare, almeno in parte, il suo passato. Sosteneva anche, ipocritamente, di aver mostrato gli aspetti positivi di Hitler «per far capire come milioni di tedeschi hanno creduto in lui». E negava, sorprendentemente, l'importanza del suo primo film sul Congresso del partito nazionalsocialista del 1933 (Siegdes Glaubens), mentendo («mi riuscì soltanto un brevissimo filmato: non ero preparata, avevo solo due operatori, i quadri del partito mi fecero moltissime difficoltà»). Diceva infine: «Adesso conosciamo la fine della storia» e «possiamo giudicare». E' rimasta nazista Ma poiché la storia non è finita e il giudizio critico va continuamente approfondito, rivedendo posizioni vecchie o errate, ma anche confermando i fatti qd'inserendoli in un quadro di riferimento storico, è curioso osservare che Leni Riefenstahl non solo è rimasta sostanzialmente nazista, nel modo di pensare e di giudicare il passato, ma ha festeggiato i 90 anni facendo pubblicare in Giappone uno splendido libro, riccamente illustrato, di non facile reperibilità e di non agevole lettura (non tutti conoscono il giapponese!), in cui i suoi estimatori - i critici Eiko Ishioka e Toshiharu Ito - pare vogliano, più che giustificare, interpretare in chiave attuale il «fascismo intrinseco» dell'opera sua. Il libro si intitola semplicemente Leni Riefenstahl Life (Kyuryudo Art Publishing, Tokyo 1992) e contiene, oltre a una serie di fotografie dell'archivio personale della Riefenstahl, alcune delle quali inedite, un saggio di Toshiharu Ito che merita di essere citato, proprio in quella chiave di «fine della storia» che giustifica ogni omologazione storica e annulla ogni analisi critica. Non solo ma, paradossalmente - rispetto al discorso del fascismo intrinseco del cinema della Riefenstahl -, non si fa cenno se non di sfuggita (un paragrafo del saggio di Ito e un paio di fotografie) al Trionfo della volontà, il film sul Congresso del partito nazionalsocialista del 1934, che diede allora alla regista, la fama mondiale di grandissima documentarista Un'opera che è probabilmente il capolavoro suo e non figura nella seconda parte del libro, interamente dedicata ai suoi film e ai suoi libri fotografici, da Das blatte Licht (1932) a Korallengàrten (1978). Quanto a Sieg des Glaubens (La vittoria della fede), neanche una parola! E tuttavia la cosa non è para dossale. Quella negazione non suscita sorpresa se non al primo sguardo, sfogliando il libro come un bellissimo album d' splendide fotografie. Ma se ci si addentra nella lettura, se si co glie il contenuto autentico del l'operazione editoriale, allora è proprio l'assenza, o quasi, d' ogni riferimento esplicito a Hi tler e al nazismo a giustificare i discorso critico che tende a cogliere la compónente «fascista» dell'estetica e della poetica dela Riefenstahl come elemento centrale e positivo d'una rappresentazione artistica del nostro tempo, di cui il fascismo è stato, per certi versi, il motore. E' in quest'ottica di misticismo e di estetica esaltazione che Ito, a proposito del Trionfo della volontà, scrive: «Il film coinvolge il pubblico in un fascino e in una drammatica frer nesia condensando il potere del mezzo cinematografico con il carattere di magnificenza e di eccezionalità del cerimoniale e della festa nella città». Il misticismo critico, che trascura ogni riferimento storico al nazismo, si esalta di fronte al «corpo estetico» creato dalla Riefenstahl. In un delirio di reigiosità Ito osa scrivere: «Non è esagerato dire che Leni come la Madonna diede vita ad un nuovo essere». E altrove, parlando di Olympia, il film sulle Olimpiadi berlinesi del 1936, dice: «Leni raggiunge il limite critico del corpo umano. Sebbene si tratti di corpi di esseri umani, la loro bellezza e la loro perfezione creano un'immagine che va ben oltre la loro stessa umanità, [...] sono corpi in estasi, in libertà, in una gioia inebriante. [...] La forza è bellezza, la vita stessa è bellezza». Di qui il passaggio progressivo,, impercettibile, verso l'esaltazione del fascismo come sublimazione del corpo. Ito prende le sue precauzioni quando scrive: «Risponde senz'altro al vero il fatto che in un certo periodo questa sua particolare concezione del corpo venne utilizzata dall'ideologia fascista», ma subito aggiunge: «Il suo è un mondo pieno di luce, puro, non umanizzato, che introduce rapidamente in noi, in profondità, qualcosa di intenso». E sostiene: «Si potrebbe mettere tutto ciò in relazione col fascismo, se per fascismo, fenomeno degenerato di una società dinamica, intendiamo quella forza che produce una frattura dentro di noi, la dilata e poi la ricompone» Dal misticismo al fascismo Ora il cerchio si chiude: dal misticismo al fascismo, letto e interpretato ovviamente in chiave mistica. Ito delira: «Que sta grande forza invisibile lava via senza lasciar traccia l'individualità presente nell'esistenza, sulla quale si è basato questo secolo. Spazza via la cultura, i si gnificati, le parole e costruisce una base più grande nella quale tutti questi elementi si fondono come fossero gelatina. Nell'uo mo desideri sensuali e inebrianti si trovano combinati gli uni con gli altri. Senza di essi l'uomo finirebbe per irrigidirsi, per ammalarsi, per impazzire e infine per autodistruggersi». E con elude: «E' possibile a questo punto considerare il fascismo come il grande fremito con quale l'inconsapevolezza de corpo umano ha reagito alla corrente del ventesimo secolo, che avanzava verso questo irrigi dimento». Leni Riefenstahl sarebbe stata, con i suoi film, l'artefice di questo mutamento estetico ed etico, la regista dell'uomo nuovo, del corpo redento, della sublimazione del desiderio verso la spiritualità della forma perfetta Colei che ha saputo creare, at traverso la bellezza, l'immagine del fascista ideale: una bellezza che si poteva raggiungere solo con «la vittoria della fede» e «if trionfo della volontà». Gianni Rondolino

Luoghi citati: Giappone, Korallengàrten, Leni, Olympia