Un terrore, mille firme di Claudio Gallo

Un terrore, mille firme Un terrore, mille firme i7premier: una mano straniera La destra: è stato il Pakistan Nessun gruppo terroristico si è ancora assunto la paternità delle 14 autobombe esplose nel centro finanziario di Bombay. Le prime congetture parlano di «una pista straniera». Alcuni, più espliciti, come il leader del partito Bharatiya .lanata, Lai Krishna Advani, il leader carismatico degli integralisti hindu, indicano «una mano pachistana». Il governo del premier Narasimha Rao, (che ieri ha nominato il sottosegretario alla Difesa Raghunathan commissario straordinario dello Stato di Bombay, il Maharashtra) preferisce non formulare ipotesi, anche se la pista che porta agli «eterni» nemici pachistani, tre guerre in 45 anni, non è «affatto esclusa». Con Bombay si è voluto colpire il cuore finanziario del gigante indiano, proprio nel momento delicato del decollo economico previsto dal nuovo piano di sviluppo appoggiato dalla Banca Mondiale con un credito di due miliardi di dollari. Negli ambienti governativi della capitale si fa notare che un simile disegno supera i limiti strategici e operativi di una semplice centrale terroristica «non legata all'intelligence di qualche potenza straniera». E tra i primi nomi che si sussurrano, senza evidentemente alcuna prova, sull'onda dell'emozione e del sangue, c'è anche quello dell'Iran, gran bu¬ rattinaio dell'integralismo islamico. Il primo ministro del Maharashtra, l'ex ministro della Difesa Sharad Pawar, ha detto in televisione che dietro l'attentato ci sono «forze anti-nazionali che cercano di indebolire l'economia del Paese colpendo la sua capitale finanziaria». Le stesse modalità tecniche degli attentati sembrerebbero escludere il terrorismo più «naif» dei sikh, ad esempio, a cui certo non mancano coraggio, fanatismo e determinazione per compiere stragi su larga scala ma che difficilmente potrebbero disporre di congegni di innesco così perfezionati né di simili quantità di esplosivo. Inoltre, in questo caso, non si è trovata alcuna data o ricorrenza che potesse legare il giorno degli attentati alla lotta per l'indipendenza del Punjab. «L'elevatissimo livello militare degli attentati - dice Bini Simon Mi anna, giornalista della Doordharshana, la televisione di Stato indiana - e i per- fezionatissimi congegni fanno pensare, in attesa di nuovi elementi, a una potenza straniera». L'unica cosa che sembra evidente fin da adesso è che gli integralisti hindu, protagonisti degli episodi di violenza culminati con la distruzione della moschea di Ayodhya e proseguiti con scontri in tutto il Paese che causarono più di duemila morti, questa volta non dovrebbero entrarci. A parte l'aspetto poco nazionalista degli attentati il fatto che una delle autobombe abbia devastato proprio la sede dello Shiv Sena, l'Armata di Shiva, uno dei gruppi più estremisti della costellazione politica hindu, sembrerebbe scagionare il fronte che nel nome del dio Rama predica un nuovo fanatismo a sfondo antimusulmano. Sullo sfondo della strage di ieri potrebbe levarsi il fantasma dell'indipendentismo kashmiro. Il Kashmir, ginepraio himalayano, causa di contese e guerre tra India e Pakistan dal 1947, continua la sua ordinaria cronaca di sangue che vede protagoniste sia le bande paramilitari indiane sia gli indipendentisti filopachistani, se non addirittura gli eserciti dei due Stati che si cannoneggiano volentieri da un confine all'altro. La tensione nella regione ha toccato negli ultimi tempi livelli mai raggiunti, con la presenza di guerriglieri islamici provenienti dall'Afghanistan, dal Bahrein e dal Sudan segnalata ai confini indiani. A quella nuova frontiera dalla Jihad internazionale che rischia di diventare il K ihmir, guardano gli osservatori indiani per rintracciare il filo che porta alla giornata di guerra che ieri ha sconvolto Bombay. Claudio Gallo Un'immagirte della strage auto in fiamme nel centro di Bomba/ Nel riquadro il primo ministro Rao [FOTO AP]

Luoghi citati: Afghanistan, Bahrein, India, Iran, Pakistan, Sudan