Eltsin, zar senza scettro e corona
Eltsin, zar senza scettro e corona Precipita lo scontro al Cremlino: Parlamento e leader sono ormai contropoteri Eltsin, zar senza scettro e corona Il Presidente furente: mi appellerò alpopolo MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Con il no di 495 deputati alle 11 e un quarto di ieri mattina si è chiusa idealmente l'ultima stagione politica di Boris Eltsin cominciata il 20 agosto 1991 sulle barricate che difendevano la Casa Bianca in riva alla Moscova dall'assedio dei carrarmati golpisti. Il Congresso dei deputati del popolo ha risposto no all'appello del cuore che il presidente gli ha rivolto con la testa bassa, come un toro alla fine della corrida: «Ascoltate bene le mie proposte...» Ma il credito politico raccolto nei giorni del golpe si era già dissolto da tempo. E così, come già aveva fatto giovedì, Eltsin ha abbandonato l'arena, scomparendo dietro le quinte del Congresso con un gesto silenzioso e drammatico. L'ultima carta che gli rimane è l'appello al popolo. Forse lo farà oggi. Gelido e spietato il Congresso gli ha negato innanzitutto la conferma di quell'accordo di compromesso sul quale era riuscito solo tre mesi fa a conservare un simulacro del suo corso politico riformista. Con il voto di ieri mattina gli ha tolto anche i poteri che l'intesa di dicembre aveva congelato in attesa del referendum: non può più sciogliere il parlamento, e il governo, da oggi, dovrà rispondere più ai deputati che non al presidente. Il premier Viktor Chernomyrdin, che pure è un uomo della vecchia nomenclatura, ha dichiarato la sua sorpresa: «Siamo un semi-governo, come accadeva nel passato quando nessuno sapeva mai di cosa dovesse rispondere l'esecutivo». L'opposto della repubblica presidenziale chiesta da Eltsin. La Russia è da ieri più che mai una repubblica parlamentare, dove il parlamento si chiama Soviet Supremo -ed è - stato eletto quando ancora c'era l'Urss. Boris Eltsin, però, non rinuncia al referendum (che il Congresso per ora ha respinto) su due questioni: il presidenzialismo e la proprietà privata della terra. Come possa arrivarci non è chiaro. Si capirà, forse, solo ascoltando 1'«appello al popolo». Ma in alternativa si potrebbe arrivare anche ad elezioni anticipate, del parlamento e del presidente. Il Congresso ha iniziato a discuterne, si riprenderà oggi. Intanto il Congresso, che secondo i programmi doveva concludersi in due giorni, aprirà questa mattina la sua quarta giornata, forse decisiva. Oggi si dovrebbe sigillare con il voto la sentenza definitiva di condanna per Eltsin. Un ultimo incontro tra il presidente, Khasbulatov e il presidente della Corte Costituzionale Zorkin in qualità di garante sembra che non abbia dato risultato. Per Vladimir Isakov, uno dei leader dell'opposizione, «il presidente non ha più carte da giocare, gli restano solo le scene isteriche, come abbandonare il Congresso». E' ancora possibile la via del referendum come sostiene Eltsin? Isakov è categorico: «No». Attorno al presidente restano pochi fedeli, quasi sempre silen¬ ziosi nell'aula del Congresso. Lev Ponomariov, di Russia democratica, l'ultimo tabernacolo di eltsinismo, dice invece che il presidente ha tutti i diritti di rivolgersi al popolo e chiedere un referendum o un plebiscito: «Vedrete, la gente sta ancora con lui. Contro non c'è un potere rappresentativo, ma il vecchio sistema che non a caso si chiama Soviet supremo. Sono questi vecchi «soviet» a fare il golpe sottraendo a Eltsin il potere che ha avuto dal voto popolare». Un po' di mobilitazione a fianco del presidente si è vista ieri sera, sulla piazza Rossa, alla fine del congresso quando all'«esercito» di comunisti con bandiere rosse che come ogni giorno urlavano ai deputati di «far fuori Boris Nikolaevich», si è contrapposto un altro piccolo «esercito» di democratici, con le bandiere tricolori di Russia che ribatteva con slogan opposti: «Congresso dimettiti». Da una parte lo striscione rosso del quartiere Krasnaja Presnja, storico presidio comunista; dall'altra quello verde del sobborgo moscovita di Zelenograd, popolato di un'intellighentia radicale. Anche dai minatori, i primi a scioperare contro Gorbaciov nel 1989, è arrivato un sostegno a Eltsin con l'annuncio di uno sciopero generale per appoggiare le riforme (e chiedere nuovi aumenti di stipendio). Cesare Martinetti COALIZIONE RIFORMISTA 143 DEPUTATI RAGGRUPPA I FEDELISSIMI DI ELTSIN E DEL SUO PRIMO MINISTRO. COMPRENDE 148 DEPUTATI DI RUSSIA DEMOCRATICA E I RADICALI PROGRESSISTI. LA FIGURA GUIDA E' GLEB YAKUNIN. Gli schieramenti al Parlamento russo e nella foto in alto Eltsin, furibondo per il voto contrario, lascia l'aula (FOTO EPA)
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