Il cane a sei zampe si lecca le ferite di Roberto Ippolito

Il cane a sei zampe si lecca le ferite Il cane a sei zampe si lecca le ferite L'Eni: «Cela faremo, ma che vergogna quei sigilli» UN COLOSSO IN GINOCCHIO CROMA HE fame. Pasta e ceci è stata richiesta in abbondanza. Le sogliole, molto apprezzate. C'è un'insolita animazione al self service del quartier generale dell'Eni, una piccola costruzione sul laghetto dell'Eur a ridosso del grattacielo di venti piani simbolo aziendale. Ma, sono le tredici di ieri, il buon appetito c'entra poco. Forse è questione di paura. «Ci siamo ritrovati tutti alla mensa; i dipendenti del gruppo vogliono incontrarsi, parlare, discutere; non ci si rintana, non ci si nasconde», racconta Pierluigi Celli, responsabile dello sviluppo manageriale dell'Eni. E' il triste giorno dopo la grande retata che ha decimato il vertice del colosso petrolchimico pubblico per storie di tangenti. C'è smarrimento, ma si fa quadrato nella tempesta: scrivanie presidiate e uffici al completo. Anzi: è perfino diminuito l'assenteismo in tutto il gruppo. «Altro che voglia di fuga; più che mai c'è voglia di essere presenti, di stare sul posto di lavoro, di scambiarsi le opinioni perché siamo feriti ma non fiaccati», dice Franco Bernabè, l'amministratore delegato, che ha fatto la spola Roma-Milano per parlare al popolo Eni, rincuorare e garantire: «Andiamo avanti, ci riscatteremo». Certo non è facile. Nella notte fra martedì e mercoledì è finito in carcere il presidente del gruppo Gabriele Cagliari insieme a quello della Nuovo Pignone Franco Ciatti. Ventiquattr'ore dopo la stessa brutta sorte è toccata a Raffaele Santoro, Pio Pigorini e Gianni Dell'Orto, presidenti di Agip Spa, Snam e Saipem. Un improvviso, drammatico piazza pulita che lascia di stucco: «Non può certo far piacere che personaggi ritenuti fedeli servitori siano passibili di accuse così sgradevoli», ammette Marcello Colitti, una vita sotto il marchio del cane a sei zampe. Sconforto? Prevale il realismo, come fa trapelare Colitti: «Non siamo in ginocchio, siamo qui, lavoriamo, passerà». E aggiunge, Col tono di chi ne ha già viste tante: «La storia dell'Eni è piena di choc, come la tragica morte del fondatore Enrico Mattei, l'uscita di Eugenio Cefis dopo la guerra chimica, lo scandalo Eni-Petromin, le crisi energetiche mondiali». C'è chi fa buon viso a cattivo gioco. Ma Bernabè svela la tanta amarezza diffusa in un gruppo con 130 mila addetti. 50 mila miliardi di fatturato e che lavora nei quattro angoli del mondo, dai torridi pozzi petroliferi del Sahara al gelido Mare del Nord, Inutile negare, la rabbia c'è: «L'Eni - afferma Bernabè - si sente tradito da quello che è avvenuto. La gente non sapeva, io stesso non sapevo. I fatti addebitati dai giudici devono essere dimostrati, ma l'accaduto è una tragica sorpresa». Dramma nel dramma, un episodio dà enorme fastidio. «Abbiamo subito la grande umiliazione di veder sequestrati i palazzi uffici di Metanopoli, è stato davvero tremendo e questo ha colpito il morale del gruppo», spiega l'amministratore delegato. qQuei sigilli ci hanno punto nell'orgoglio», insiste Domenico Tantillo, che lavora proprio nel palazzo al centro dei sospetti, il quinto, dove orienta la programmazione dell'Agip. Ma proprio Tantillo, che è il coordinatore nazionale dei tremila dirigenti del cane a sei zampe, non vuole sentir parlare di sconforto. Anzi: «Si vada avanti, senza sconti per nessuno costi quel che costi. Se qualcuno ha compiuto illeciti penali venga perseguito; il rinnovamento non va fermato». Insomma, anche nell'Eni si diffonde l'idea che bisogna pagare il prezzo all'operazione mani pulite. Che non è facile da digerire in un gruppo dove l'orgoglio aziendale è una tradizione radicai issima, come in nessun altro settore delle expartecipazioni statali. Ma nei corridoi dell'Eur molti giurano che il «piacere di essere Eni» sopravvive ancora. «Nonostante tutto quello che sta accadendo - fa presente Bernabè - l'orgoglio di appartenere a questo gruppo rimane. Desideriamo dirlo forte che l'Eni ha dei meriti storici, è sanò, fornisce all'Italia metà dell'energia consumata. Per la continuità dell'economia dèi" Paese è essenziale». Ma è credibile questa capacità di reagire? Celli vuole dimostrarlo con un episodio: «Appena abbiamo avuto la notizia degli arresti dei presidenti di Agip Spa, Snam e Saipem abbiamo dovuto rinviare una riunione. Con i palazzi sigillati, non era opportuno che qualcuno lasciasse Milano. Ma c'è stato un coro: la riunione va tenuta al più presto, la prossima settimana». Stesso discorso per i corsi di formazione aziendale: «Mai vista tanta gente in aula». Si va avanti, anche se resta l'onta: c'è chi lega il nome Eni a storie di tangenti degli ultimi trent'anni. Bernabè s'impenna: «Se fossimo così marci, non avremmo costruito tutto quello che abbiamo costruito. Nell'ultimo decennio abbiamo prodotto utili per migliaia e migliaia di miliardi. Una storia di profitti è una storia di efficienza, non di corruzione». E gli arresti? A qualcuno scappa: non tutti i mah' vengono per nuocere. Sussurra Colitti: «Il rinnovamento in fondo può essere un buon affare, anche se è brutto dirlo visto che sono state arrestate persone amiche con le quali abbiamo diviso tanti anni di lavoro». Riconosce Celli: «E' una frustata buona». Per lui al disagio iniziale è seguita una reazione positiva: «Stiamo accelerando quel cambiamento cominciato con fatica la scorsa estate quando l'Eni è stato trasformato in società per azioni». Benedetto quel giorno, dice ora Bernabè: «Il presidente del Consiglio Giuliano Amato ha avuto un'intuizione straordinaria. Con la spa ha introdotto nuove regole che riducono l'intervento dello Stato in economia, danno più autonomia ai manager e impediscono l'inquinamento delle logiche industriali». C'è chi tira fuori i dati. Nelle ultime settimane Bernabè ha espulso 250 estranei dai consigli di amministrazione delle società del gruppo. In questi organi vuole solo i rappresentanti della casa madre. Inoltre si rinnovano i vertici in tutte le principali aziende. Bernabè scorge un'ansia di cambiamento: «Basta alle interferenze di ogni tipo. La gente non ne vuol più sapere di favoritismi e lottizzazione». Ma resta l'amaro in bocca. Roberto Ippolito «Ci sentiamo traditi j Questa è per noi una tragica sorpresa» il Franco Bernabè, amministratore delegato dell'Eni

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