L'Abb sull'Italia: «Troppo Stato» di Valeria Sacchi

L'Abb sull'Italia: «Troppo Stato» UN PAESE NELLA BUFERA La multinazionale svizzero-svedese presenta i conti '92 e parla di Tangentopoli L'Abb sull'Italia: «Troppo Stato» «Compreremmo anche, ma vanno tutti in carcere» ZURIGO DAL NOSTRO INVIATO Nella grande conferenza stampa dove presenta i dati mondiali per il 1992 di Abb, è prudente sul tema Italia il presidente Percy Barnevik. Si limita a dire che «resta ottimista, nonostante il blocco delle commesse pubbliche». Aggiunge: «Certo, se il blocco durerà, ci saranno problemi di occupazione, ma a noi sembra che le cose si stiano muovendo». Per la multinazionale svizzero-svedese, l'Italia è un tema scottante. Nelle commesse della Metropolitana Milanese, la controllata italiana Abb è rimasta impigliata nell'inchiesta Manipulite. Alla colazione che segue, è più esplicito il vicepresidente e responsabile per l'Europa Eberhard von Koerber. Ammette: «Lo sapevamo da un pezzo che in Italia si operava così. Vi erano troppe interferenze politiche.e troppa dipendenza dallo Stato. Dove esistono livelli di interferenza così ampi, devono esserci anche chiare regole per il finanziamento ai partiti». Ricorda von Koerber lo scandalo Flick in Germania, e ricorda che quel caso dette il via nella Repubblica Federale tedesca non solo a leggi più chiare sul finanziamento, ma ad una importante ondata di privatizzazioni. Dunque siete preoccupati? «Certamente, anche perché in Italia abbiamo una presenza importante. Siamo preoccupati per lo smantellamento dell'autorità dello Stato, e come investitori esteri non riusciamo a capire in quanto tempo se ne uscirà. Quanto ci vorrà per arrivare ad un nuovo ordine politico. I rischi reali sono quelli della disoccupazione e di una nuova recessione. Nessun paese può permettersi di restare in una situazione di tale instabilità per lungo tempo. Il nuovo ordine politico deve arrivare presto. Questa paralisi è negativa per gli affari e gli investimenti». E dell'inchiesta su Abb, che ne pensate? «Non sono in grado di entrare nei dettagli, è una questione che riguarda la nostra consociata italiana. Tutto quello che posso dire è che siamo preoccupati per il modo con il quale le persone vengono incarcerate. Tutto il contrario di quello che avviene in Germania». Cambierete i vostri progetti italiani? «Stiamo aspettando il nuovo ordine. Le privatizzazione e un regime di libera concorrenza effettiva, nel quale le aziende possano misurarsi secondo i loro meriti e i loro risultati. In un quadro di questo tipo, il nostro gruppo si troverà in ottima posizione. Se il cambiamento ci sarà, in Italia ci rafforzeremo ulteriormente». Abb è presente dappertutto: il sistema tangenti in Italia era particolare? «Certamente. Eravamo perfettamente consapevoli che il vecchio ordine non andava. Eni, Enel, Ferrovia, ovunque c'è troppa interferenza pubblica. L'unica via d'uscita è la privatizzazione». Il presidente Barnevik sem¬ bra più ottimista di lei... «Forse non mi sono spiegato bene. Io penso che, con questi cambiamenti, l'Italia si stia muovendo nella giusta direzione. Ma troppo lentamente. Bisogna fare più in fretta, ritrovare presto una nuova stabilità». A conferma dell'ottimismo, von Koerber ribadisce anche l'interesse della consociata italiana per Breda Ferroviaria e Nuovo Pignone, due società per le quali la multinazionale avanzerà quasi certamente delle offerte. Subito però precisa: «Abbiamo già parlato con qualcuno, ma tutti quelli con cui abbiamo intavolato un discorso a questo proposito sono poi finiti in carcere». E veniamo ai conti. Nel '92 il gruppo Abb si è ben destreggiato. E' vero che l'utile di gruppo è sceso del 17% a 505 milioni di dollari (oltre 750 miliardi di lire), ma il giro d'affari è salito del 3% a sfiorare i 30 miliardi di dollari (oltre 45.000 miliardi di lire) e il portafoglio ordini ha visto un aumento del 7% a 31,630 milioni di dollari, e i debiti sono spariti. Ha ammesso Barnevik: «Gli utili si sono ridotti per via della recessione, ma abbiamo migliorato la nostra posizione finanziaria, azzerando il debito che, nel 1991, era pari a 950 milioni di dollari. Insomma, siamo riusciti in due anni a far scendere di 1.000 milioni di dollari l'anno l'indebitamento. E oggi, dopo due anni di recessione, siamo un gruppo più forte». Valeria Sacchi Pere/ Barnevik, capo operativo del colosso Asea Brown Boveri

Persone citate: Barnevik, Breda Ferroviaria, Eberhard Von Koerber, Flick, Milanese, Percy Barnevik, Pere