Contro Eltsin la congiura dei settecento di Cesare Martinetti

Contro Eltsin la congiura dei settecento Insultato, sconfitto, nuovamente minacciato di impeachment lascia l'aula del Parlamento Contro Eltsin la congiura dei settecento Oggi il voto per sottrargli molti poteri Il presidente della Corte: è la fine MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Insultato e sconfitto Boris Eltsin se n'è andato prima di poter sentire le parole di Valéry Zorkin, presidente dela Corte Costituzionale, cadute come pietre nell'immensa sala del Cremlino: «Siamo sull'orlo della catastrofe». Gli avevano chiesto chi avesse ragione tra i due duellanti (presidente e Parlamento) e lui ha risposto tranciante: «In questa Russia i poteri dimostrano la loro incapacità a vivere secondo la Costituzione». Non c'è legge che tenga, in questa Russia che «può crollare da un momento all'altro», nessuno rispetta la Costituzione, nemmeno il Presidente, nemmeno il governo. «Ricordate - ha detto Zorkin - che mesi fa il Presidente aveva lanciato la parola d'ordine della lotta alla corruzione? A tutt'oggi il governo non è stato capace di scoprire e denunciare un solo corrotto. La verità è che siamo al nichilismo giuridico, la criminalità avanza, la rabbia della gente può esplodere. Signori deputati, proponiamo ai russi di rieleggerci tutti e ricominciamo da capo». Ma Boris Eltsin non era più in aula da almeno un'ora, da quando Mikhail Chelnokov, del Fronte di salvezza nazionale, aveva chiesto tra gli applausi che il Presidente venisse destituito. Il congresso si stava frantumando nella battaglia sugli emendamenti e appariva chiara una cosa sola: che questa mattina, quando si riprenderà e probabilmente si arriverà al voto finale, Boris Eltsin sarà un presidente zoppo. Gli hanno detto no al referendum che lui voleva per scommettere sul voto del popolo, gli imporranno probabilmente di cambiare il governo: vogliono la Banca centrale alle dipendenze del,, governo, il governò "sottomesso al Soviet Supremo. Ruslan Khasbulatov, il grande avversario di Eltsin, ha prima ironizzato sulla grigia mediocrità del primo ministro Chernomyrdin («Non sei tu il solo premier...»), poi ha chiesto urlando tra gli applausi del congresso le teste del ministro per le Privatizzazioni Chubais e di quello degli Esteri Kozyrev. Si raccontano voci di golpe, nel gelido palazzo del Cremlino, ma uscendo sulla Piazza Rossa svuotata come una piscina da cordoni di militari, si incontrano solo gli slogan di un migliaio di comunisti che sfidando i meno 12, oltre le transenne, gridano ai deputati che filano veloci verso il calderone del congresso: «Cacciate Boris Nikolaevich, vi difenderemo noi». Dentro, nell'happening convulso, si vedono le facce ghignanti dei leader dell'opposizione al Presidente, come quella mefistofelica di Serghej Baburin, nazionalista del gruppo Rossia: «Eltsin ha un'ultima carta? Sì, quella delle dimissioni». Di prima mattina, quando da Washington arrivava una dichiarazione di Clinton («Piena fiducia a Eltsin, sosteniamo pie- namente le riforme che egli sta cercando di realizzare»), il Presidente è salito alla tribuna del Congresso senza riuscire a rovesciare l'atmosfera ostile, sostenendo timidamente la sua richiesta di regime presidenziale: «Senza un forte presidente eletto dal popolo, la Russia non ce la fa. Se Gorbaciov fosse stato eletto dal popolo e non da 2 mila deputati, l'Urss vivrebbe ancora. Non lo dico per difendere la mia scomoda poltrona, ma solo un presidente eletto può imporre al Paese quelle misure impopolari senza le quali non è possibile la riforma». Nello scontro tra i due poteri, ha detto Eltsin, può vincere una «terza forza» che distruggerà la Russia. S'è detto disponibile a qualunque variante, accordo, emendamento, ma «se non c'è intesa, il conflitto diventa irreversibile e allora ci vuole il Referendum. Abbiamo perso troppo tempo, non è possibile farlo l'I 1 aprile, possiamo rinviarlo, ma dobbiamo farlo». Come mercoledì, il Congresso gli ha subito risposto rovesciandogli addosso una valanga di voti contrari: solo 382 deputati hanno votato per la sua proposta di accordo. Con 665 sì e 216 no il Congresso ha approvato lo schema di risoluzione più lontana da quella del Presidente: no al referendum, azzerata l'intesa che a dicembre, nel precedente Congresso, aveva consentito a Eltsin di salvare con un compromesso il suo corso politico. Anche ora si lavora per un compromesso, ma la vittoria del Soviet Supremo e del Parlamento appare schiacciante: «Solo il diavolo - ha detto il gongolante Khasbulatov - ci aveva fatto firmare l'accordo di dicembre». Nella risoluzione che si stava preparando ieri e che sarà votata oggi, si rimette al centro dello Stato il Parlamento. Perfino un timido uomo di apparato come Chernomyrdin ha alzato la voce nell'aula del Congresso: «Non chiediamo poteri straordinari, ma la possibilità di usare quelli ordinari. La situazione economica è difficile, gli spazi di intervento sono limitati, dobbiamo fare in fretta perché il '93 deve essere l'anno delle decisioni concrete e non degli intrighi. La notte, invece, porterà i suoi «intrighi». A Eltsin resterà di rivolgersi ai capi delle Repubbliche amiche, o fare appello al popolo, o chinare la testa. Cesare Martinetti Mentre in aula infuria lo scontro Clinton dichiara: siamo con te Un comunista grida slogan contro Eltsin sotto la neve A sinistra: il Presidente parla con il suo nemico Khasbulatov IFOTO REUTER] [FOTO EPA]

Luoghi citati: Cremlino, Mosca, Russia, Urss, Washington