«Il cane a sei zampe corre ancora» di Roberto Ippolito

«Il cane a sei zampe corre ancora» Convention all'Eur con i dirigenti. I progetti di sviluppo e le privatizzazioni «Il cane a sei zampe corre ancora» Bernabò arringa i suoi: giuro, andremo avanti ROMA. Non è un cane bastonato. Non resta fermo in un angolino il cane a sei zampe, storico simbolo dell'Eni. «Il gruppo va avanti senza tentennamenti» giura Franco Bernabò, l'amministratore delegato. Turbati e inquieti lo ascoltano ottocento dipendenti di tutti i livelli del gruppo. Ieri mattina, a mezzogiorno, hanno svuotato le stanze in cui lavorano nel grattacielo dell'Eur per andare a sentire Bernabò. Per capire. Per sapere. L'amministratore delegato ha deciso il raduno in tutta fretta. Voleva cancellare quel senso di smarrimento che si è impadronito di tutto l'Eni da quando, ventiquattrore prima, è arrivata la tremenda notizia: Gabriele Cagliari, il presidente, è in prigione per una storia di tangenti. Il colpo è pesante. L'immagine è deturpata. E la sostanza? Bernabè risfodera il tradizionale orgoglio della casa. E scandisce: «Il nostro gruppo dovrà tornare ad essere un modello, un esempio di avanguardia come in passato». Colpito al cuore, l'Eni fa suonare l'ora della riscossa. E' convinto di avere le risorse per farcela, anche se l'Italia vive «la più grave crisi del dopoguerra». L'Eni, garantisce Bernabè, «è il gruppo che ha più probabilità di uscirne». E ancora: «Siamo il gruppo con le maggiori potenzialità in Italia e possiamo e dobbiamo realizzare queste potenzialità nelle condizioni di massima trasparenza e rispetto delle regole del gioco». Dopo il trauma, Bernabè ha voluto dare una scossa. Smaniosi di avere qualche indicazione, i dipendenti del palazzo di vetro dell'Eur hanno intasato gli ascensori per raggiungere il grande auditorium, un livello sotto l'entrata. Smaltite le lunghe code, in seicento sono riusciti a entrare in quella che di solito è la sala delle feste: qui si annunciano i risultati di bilancio o le grandi operazioni industriali. Altri duecento hanno ascoltato dall'esterno. Per mezz'ora, senza mai es- sere interrotto, Bernabè ha invitato a reagire, a non farsi abbattere. Nelle prime file scorgeva semplici segretarie o presidenti di società come Franco Lugli della Sofid. Vedeva i commessi seduti accanto a direttori come Enrico Ferrant, responsabile della finanza. L'arresto di Cagliari ha sconvolto tutti, impiegati o stretti collaboratori. Per lui, il grande assente, poche parole. Bernabè parla di «difficile momento personale» per il presidente finito in carcere insieme a Franco Ciatti, uomo guida della Nuovo Pignone, un'azienda di spicco del gruppo (messa in vendita proprio perché appetibile). L'amministratore delegato si augura che «tutto venga chiarito». Intanto cominciano a trapelare le prime notizie sulla scelta del successore. Oggi stesso il consiglio di amministrazione convocherà l'assemblea che procederà alla nomina. Bisogna però aspettare fine mese. E' un'attesa troppo lunga? Si assicura che sono i tempi imposti dal codice e che il governo non può forzare i tempi. C'è un problema Eni. Ma c'è più. in generale un problema Italia. «La crisi morale - dice Bernabè ai dipendenti - è sotto gli occhi di tutti. C'era una mo¬ rale pubblica e una morale privata, c'erano delle regole del gioco che in una democrazia moderna non sono accettabili. Oggi stiamo vivendo un momento di cambiamento delle regole di funzionamento del sistema che può rappresentare una grande opportunità di rinnovamento e di sviluppo». Anche l'Eni è stato travolto da Tangentopoli, il grande scandalo dell'intreccio tra affari e politica. Ma dall'estate scorsa qualcosa era cominciato a cambiare, avverte Bernabè: «Con la trasformazione in società per azioni sono cessate le interferenze esterne mentre c'è la riscoperta della responsabilità individuale». Parole? L'amministratore delegato vuole dimostrare che i fatti già ci sono. Svela di aver espulso 250 esterni dai consigli di amministrazione delle società del gruppo (ridotte da 250 a 220). Ai vertici delle aziende vuole rappresentanti della casa madre, l'Eni holding per rafforzare l'attività - afferma - e non il controllo. L'obiettivo è «un grande Eni», come sempre impegnato in tutti i continenti. E il popolo dei dipendenti, solo alla fine del discorso, applaude. E spera. Roberto Ippolito Clima pesante nell'ex ente Da sinistra Piero Barucci e Franco Bernabè amministratore delegato dell'Eni

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