Con tanto di berretto all'avanspettacolo di Osvaldo Guerrieri

Con tanto di berretto all'avanspettacolo Pirandello al teatro Fregoli di Torino Con tanto di berretto all'avanspettacolo Imprevedibile regia di Mauro Bolognini Applausi per la Borboni, Durano & C. TORINO. Terzo allestimento stagionale del «Berretto a sonagli». Bel colpo. Il «fuori diritti» con cui viene rubricata l'opera di Luigi Pirandello comincia a produrre i suoi bravi ingorghi. Era prevedibile e dovremo rassegnarci. Intanto meditiamo su questo «Berretto» giunto al Fregoli dove resterà fino a domenica: uno spettacolo che potremmo definire «ali stars». E infatti ha la regia di Mauro Bolognini, le scene di Uberto Bertacca, le musiche di Ennio Morricone e l'interpretazione di Paola Borboni, che ha per comprimari Giustino Durano e Sebastiano Lo Monaco. Scorrere la locandina è come leggere il menù di un pranzo raro. Ma poi scopri che la salsa è troppo piccante, troppo invadente l'aceto. E il palato si ribella, così come si ribella qualcosa, in noi, alla fine di uno spettacolo che l'esiguità del palcoscenico ha privato dell'apparato scenografico: al posto della grande facciata di un palazzo, abbiamo un fondalino rosso, due alberelli, due sdraio. Senza scene non si capisce che la vicenda di Beatrice Fiorica e dello scrivano Ciampa si svolge non più in un salotto ma in giardino. Questo limite ridicolizza un'operazione che ridicola non è (due sdraio? ma dove siamo, al mare? ecc.). Giardino a parte, lo spettacolo nasce dal desiderio di Bolognini di fare cosa «viva e non scritta». La formula vuole probabilmente alludere al gioco degli attori, liberato dal manierismo pirandelliano, ricondotto alla verità dei gesti, al realismo anagrafico. E in ciò Bolognini ha lavorato egregiamente. La storia di corna e di pazzia funziona benissimo, procede tra divertimento e meditazione (quel discorso di Ciampa sulle tre corde del nostro Paola Borboni comportamento, una delizia). Ma divertimento e melanconia sono corrivi, esteriori, avvengono nonostante Pirandello. E infatti questo «Berretto» è così pieno di interpolazioni che Pirandello vi appare a tratti, giusto nelle zone occupate da Ciampa: soltanto qui troviamo quel soffio livido che fa del «Berretto» la tragicommedia del sentimento e dell'ipocrisia. Altrove abbiamo la buffoneria rivistaiola, le invenzioni da avanspettacolo, l'arbitrio linguistico. Per esempio: perché la Saracena parla in dialetto? Forse per sottolineare la distanza dalla borghesia? Ma allora perché la serva Fana si esprime in lingua? Il massimo della libertà arriva nel second'atto, quando il delegato Spanò illustra i risultati dell'inchiesta di polizia sulla pretesa tresca del cavalier Fiorica con Nina, moglie di Ciampa. Giustino Durano, che di Spanò è il dispettoso interprete, ne combina di tutti i colori. Intanto legge, inventandolo, il rapporto dell'agente Logatto; in più farcisce il verbale di bestialità linguistiche, che commenta ad ogni rigo, con uscite di questo tipo: «E Logatto quatto quatto s'acquattò». Un perfetto stilema pirandelliano. Così come è un iper-pirandellismo la battuta «Vi sciuscio, signora», che merita la pensosa risposta «Sciusciate uh po' più in là». Applausi comunque, e molti. Per Durano, per il persuasivo Lo Monaco, per Cristina Noci (Beatrice), per tutti gli altri; ma soprattutto per la Borboni, che, nel minuscolo ruolo di Assunta La Bella, distilla la grazia di un sorriso senza peso. Osvaldo Guerrieri Paola Borboni

Luoghi citati: Saracena, Torino