VICHY la verità fa paura

VICHY la verità fa paura Choc in Francia per l'implacabile documentario di Chabrol: le immagini nascoste del regime di Pétain VICHY la verità fa paura PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Claude Chabrol alza il sipario su Vichy, e la Francia under 40 scopre quanto i libri scolastici ancor oggi sacrificano alla «favola bella» di una nazione - via Radio Londra - in armi contro l'occupante: Pétain, la collaborazione, l'antisemitismo. Il film, un documentario implacabile, dura 2 ore. Per gli spettatori giovani che ieri ne hanno visto l'esordio (dopo lunga polemica) nelle sale parigine è lo choc. Qualcuno già conosceva altre pellicole storiche, magari proprio La Ligne de dérnarcation in cui Chabrol dipinse - 26 anni fa - un Paese gollista al 100%. Ma gli eventuali precedenti non aiutano. L'Oeil de Vichy (L'occhio di Vichy) è un'opera inassimilabile alle altre. Impiegando solo materiali propagandistici di regime, va oltre la controstoria che Louis Malie descrisse in Lacombe Lucien (giovanissimo miliziano vichysta). Sullo schermo scorrono i cinegiornali che la «France-Actualités-Pathé» produsse ogni settimana sino alla Liberazione. Più qualche immagine strappata agli archivi tedeschi (la «Deutsche Wochenschau») sulla Blitzkrieg nella primavera '40. Un volto attendibile? No, spiega il cartiglio d'inizio spettacolo: «E' la Francia come il pétainismo voleva fosse». Lo scarto tra manipolazione e realtà storica, la rinuncia a «correttivi» che ristabiliscano perlomeno un'equidistanza Vichy-Londra, indigna autorevoli critici. Scrive Jean Daniel: «Ambiguità che disarma, malsana, talora rivoltante». «Nel vedere il film, l'opposizione francese a Vichy non appare mai. Sembra vi sia un'unanimità filopétainista. Ora, sappiamo invece che nei cinema durante i notiziari le autorità volevano rimanessero accese le luci per impedire manifestazioni ostili» rincara la dose Roger Stéphane, figura mitica nella Resistenza. Ma un dubbio, sopra tutto, pervade gli accusatori: che, neppure mezzo secolo dopo, i cittadini siano «maturi» per scrutare negli occhi l'ideologia che predicava il Maresciallo senza venirne ipnotizzati. Le numerose istigazioni all'odio raz- ziale proposteci nel film di Chabrol non finiranno con l'alimentare la xenofobia Anni 90? E come evitare il disorientamento fra persone senza un minimo retroterra storico-culturale? Vichy, dunque, fa ancora paura. In sala, le reazioni a caldo testimoniano che la provocazione pedagogica invocata dal regista colpisce nel segno. Elisa Durgeon, 28 anni: «Ritrovo una storia finora tabù. I manuali sono troppo sbrigativi, manca l'angolatura per comprendere dal vivo le ragioni e gli errori che animarono Vichy. Non provavo una simile emozione da quando uscì Ombres e brouillard, con quei fotogrammi sull'Olocausto. Unico rimprovero: che L'Oeil de Vichy non sia uscito prima». L'ampio cinema Arlequin, nel VI Arrondissement, ieri pomeriggio ha visto arrivare contro ogni aspettativa un pubblico massiccio e, in larga misura giovanile. Dice Pierre Abad, 17 anni: «Lo conosciamo bene de Gaulle, Discorsi, immagini, appelli. Ma sentir parlare "Radio Vichy" e Philippe Pétain: beh, mai successo. Ne valeva la pena. Sono testimonianze atroci, d'accordo, ma perché nascondercele?». Gli anziani parlano meno volentieri. Nessuna «rivelazione», ancor meno piacere trasgressivo. Loro possono dire, in semplicità: «Io c'ero». Eppure Odile Boiscarneau, 72 anni, si confessa emozionata: «Ritrovo paure e speranze che mi abitavano in quegli anni, spezzoni di esistenza quotidiana che credevo persi. Non capisco le critiche. Non dimentichiamolo, pure Francois Mitterrand aderì a Vichy». «E' un'idio- zia dare il microfono a chi tradì la Francia, temo che i miei allievi possano farsi manipolare da un'operazione nostalgica» spiega invece Bernard Loiret, professore di liceo. Durante la proiezione regna il silenzio. Ma quando René Bousquet, segretario generale della Polizia, stringe la mano a Heydrich, spietato braccio destro himmleriano, la platea rumoreggia. Lo riconoscono: vive ancora, e rischia una procedura giudiziaria per «crimini contro l'umanità» malgrado le resistenze nell'estabhshment. Quei fotogrammi valgono più d'una requisitoria. E' l'unico passaggio che fa scattare l'identificazione ieri-oggi. Il resto appartiene a un universo estraneo, quasi onirico. Per esempio gli scampoli oratori dei leader collaborazionisti. Ecco Jacques Doriot, ex pcf transfuga nel filomussoliniano Parti Populaire Frangais, nonché Fuhrer transalpino in pectore. Gronda sudore infiammandosi per «la battaglia antibolscevica», la camicia nera è zuppa, gli applausi frenetici. Ancora: Marcel Déat, che nel dopoguerra si nascose a Torino per sfuggire la pena capitale. Arringa anche lui platee non oceaniche ma quasi. E vediamo Pierre Lavai - l'angelo nero dell'intesa con il ni Reich accasciarsi a Versailles: l'attentato giustificò una dura repressione. Unico vero protagonista rimane però il telegenicissimo Pétain. Chabrol ci offre l'incontro tra il vegliardo e Adolf Hitler (autunno '40) in una stazioncina della Francia occupata, Montoire. Ma impressionano ancor più i «bagni di folla»: Tolosa, Lione, Montpellier, anche Parigi (e si era nel '44). La sua è una retorica paterna, consolatrice, espiatoria, ma feroce sino al ricatto morale. I messaggi natalizi ne mostrano in crescendo l'inquietudine, le viltà, gli alibi. Scriveva Roland Barthes che della Francia fu il supremo castratore, assaporando le disgrazie nazionali come un lubrico orgasmo senile. L'interpretazione è maliziosa, ma fa breccia: troppe le scene languorose, l'idolatria riservatagli (almeno per le telecamere) da bambini, massaie, ex militari, contadini per non lasciar intuire il grande imbroglio. Aprile '45. Pagherà anche lui: lo vediamo, dopo il patetico esilio di Siegmaringen, nel Baden, consegnarsi alla frontiera svizzera. Il cinegiornale - stessa voce - adesso ironizza sull'illustre prigioniero, una nemesi grottesca. «Pétain è un essere immondo» dichiara Chabrol a l'Evénement du Jeudi per allontanare le accuse di compiacenza. In ogni caso, lo ritroveranno fra qualche settimana nella prima biografia cinematografica che la Francia postbellica gli abbia dedicato: un nuovo scandalo bussa alla porta. Enrico Benedetto Ma i giovani sono con il regista «Troppi tabù, bisognava farlo prima» Esplode la polemica «Quelle istigazioni allodio razziale rischiano di alimentare la xenofobia» » A destra: la folla in attesa di uno dei roventi discorsi di Pétain Sopra: Claude Chabrol, regista del film «L'Oeil de Vichy»