Cara, vecchia, santa Russia cannibale
Cara, vecchia, santa Russia cannibale DIARIO DI MOSCA Cara, vecchia, santa Russia cannibale MOSCA TIAMO assistendo a un dramma. Quest'uomo è in crisi. Una crisi che è molto più grande delle sue difficoltà politiche attuali. E' il suo tramonto e lui comincia a capirlo». Boris Eltsin è seduto alle spalle del Presidium del Congresso, lassù in alto. Gli hanno riservato un banco isolato, solitario, su cui poggia un malinconico computer che il presidente non degna di uno sguardo. Immobile come una statua, il ciuffo bianco che si staglia sul marrone scuro dei banchi che furono del Politburò del Pcus. Banchi su cui sedette, forse mille anni fa, comprimario di un sistema che la storia gli affidò il compito di distruggere. Chi pronuncia la sentenza è Roy Medvedev, uno che su quei banchi non si è mai seduto. Quando Eltsin era supplente del Politburò, lui aveva i miliziani del Kgb alla porta, che impedivano ai corrispondenti stranieri di parlargli. Poi i destini si sono incrociati, invertiti. E adesso, sarcasmo del destino, sembra che stiano per invertirsi un'altra volta. Roy Medvedev si aggira nei corridoio del Congresso con l'aria un po' svagata dell'osservatore, neutrale che non è. All'occhiello ha un vistoso distintivo rosso, con falce e martello: Partito socialista dei lavoratori. E' rimasto marxista, come lo era quando i «marxisti-leninisti» lo consideravano revisionista e lo costringevano a fare il dissidente. Appoggiato alla balaustra della balconata, sopra il mare delle mille teste dei deputati, Roy Medvedev sembra aver ritrovato lo «sguardo lungo» dello storico, la disincantata capacità di vedere le cose con realismo che un po' perdette nel breve periodo in cui, da dissidente, si trasformò in un deputato dell'Urss fin troppo ligio agli ordini del partito. «Se non fosse stato così testardo, così pervicace nella pretesa di imporre il suo punto di vista, tutta questa crisi si sarebbe potuta risolvere con una banale discussione. Invece siamo in pieno dramma. Poteva essere il Presidente di tutti i russi, si è ri1 dotto a uomo di parte». I Ascolto lo storico alle pre¬ se con l'attualità e mi chiedo quali pensieri corrano ora in quella testa bianca, che rimane eretta e immobile, come una foto attaccata a un muro opaco, anche quando tutte le altre si alzano a leggere i risultati elettronici di votazioni che colpiscono come mazzate. Un deputato grida nel microfono: «Non è la Costituzione che bisogna cambiare, ma il Presidente». Roy Medvedev scruta dall'alto nella platea per cercare il padrone di quella voce. «Ha visto come hanno celebrato Stalin quest'anno? Articoli di esaltazione su tutti i giornali comunisti e di estrema destra. Adesso chi attacca sono loro. I radicai democratici sono sulla difensiva. E io chiedo: chi ha reso così forti i rossi e i neri? Proprio Eltsin con i suoi errori». Ma c'è ancora un margine per lui? Può ancora risalire la china? Roy Medvedev scuote la testa. «Non finirà il mandato. Gli restano pochi mesi. Ha minacciato troppo di voler fare il Bonaparte di Russia quando poteva trovare alleati e non aveva nessun bisogno di drammatizzare la situazione. Adesso, quando gli resta solo la scelta tra essere Bonaparte e andarsene, non ha più le forze per farlo. Neanche quelle morali. E' stato efficace come demolitore. Come tattico e stratega ha fallito in pieno, senza attenuanti». Mi viene in mente il giudizio che Nina Berberova formulò su Vladimir Majakovskij: sapeva solo andare all'assalto, ma non fu mai capace di ritirarsi. Non voleva, non poteva, era più forte di lui. Ma Boris Eltsin non è mai stato un poeta e si può scommettere, guardandolo, installato su quel trono provvisorio e lontano, che non ha mài avuto la minima idea di diventarlo. Giuliette Chiesa
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