Amato salvo dopo la tempesta

Amato salvo dopo la tempesta Infuocata seduta al Senato. Il presidente: lasciato il governo, mi ritirerò Amato salvo dopo la tempesta Prima gli scontri e le urla, poi la fiducia ROMA. Di nuovo la conta di chi sostiene e chi no il governo di Giuliano Amato. I numeri salvano il presidente del Consiglio al Senato al termine di una mattinata dove le grida e i lazzi di missini, neo-comunisti e leghisti si sono fuse in un unico messaggio a favore di elezioni immediate. Con 143 voti a favore, a fronte di 99 contrari e un astenuto (il pidiessino Gianotti) de, psi, psdi e pli approvano una stringata mozione che sottolinea «la necessità di assicurare la continuità della positiva azione del governo» e chiede ad Amato di «proseguire nell'attuazione del suo programma». Ma questo breve documento non basta a riportare il sorriso sulle labbra del presidente del Consiglio. Aveva preteso una pubblica attestazione di solidarietà dopo il fuggi fuggi dei suoi alleati di fronte al decreto respinto da Scalfaro e la ha ottenuta. Dopo di me ci sono solo le elezioni anticipate con rischi per la democrazia - ha detto di fatto il presidente del Consiglio - basta vedere la gazzarra che stanno armando in questa aula le opposizioni estreme. «Chiedo alla maggioranza di uscire dalle incertezze che ha avuto sino ad ora» è la sfida di Amato a Martinazzoli e agli altri. Martinazzoli risponde in aula, ma non proprio come Amato desiderava. L'appoggio della de, precisa il segretario dello scudo-crociato, non riguarda né il lato programmatico né quello politico, ma è dovuto a quello stato di necessità sottolineato dallo stesso Amato. Questo è il senso del discorso di Martinazzoli che ha dedicato quasi tutto il suo tempo a tirar su il morale della de, conscio del fatto che stava parlando in diretta davanti alle telecamere. Un colpo ai magistrati: «Quando la giustizia giudica un intero sistema rischia il deragliamento. Anche i magistrati sono soggetti alla legge e La legge la fa il Parlamento». Un colpo a pds e pri: «Se c'è una nuova maggioranza si faccia avanti, noi andremo all'opposizione. Se così non è, mettetevi alla stanga. Noi non siamo chiusi». Ed ecco, di nuovo, la richiesta di allargare la maggioranza. Dialogo tra sordi dove Martinazzoli dice ad Occhetto di decidere subito e Occhetto gli risponde, di fatto, di buttarsi fiduciosamente fuori dalla finestra della crisi di governo perché sotto ci sarà a raccoglierlo il telo pronto del pds. «Non si può stare alla stanga di un carro che ogni giorno viene demolito dal cocchiere. Si provi la de a togliere il sostegno a questo governo e si accorgerà che siamo pronti». Ma non ci crede neanche lui che la de di Martinazzoli, di Gava, del sempre più contrariato Forlani azzarderà un passo del genere che sarebbe pubblica sconfessione della propria politica degli ultimi anni. Ci pensi, allora, Scalfaro, dice Luciano Lama. Si incontri con i capigruppo, con i presidenti delle Camere, con sindacati e imprenditori e veda se può nascere un altro governo. Ed ecco che Scalfaro diventa il vero centro del dibattito in corso. Il pds lo invoca perché prenda atto della fine di Amato, altri, come Libertini di rifondazione comunista, lo attaccano frontalmente. E lo stesso Martinazzoli sembra un poco critico quando parla delle «difficili e un poco oscure ultime 48 ore». Le ore in cui Scalfaro ha respinto il decreto Conso. Per Libertini «c'è una responsabilità del Quirinale che non si può più nascondere. Non è credibile che per una settimana il governo abbia discusso drammaticamente del decreto sul condono e che Scalfaro ne fosse all'oscuro e se ne sia accorto solo domenica sera». Lo bloccherà il presidente del Senato, Spadolini, ricordandogli che non si può fare alcun riferimento a presunte responsabilità del capo dello Stato, vista la tutela dell'art. 90 della Costituzione ma, ormai, il messaggio è passato. No, proprio nessuno poteva dirsi soddisfatto ieri, salvo gli attori dello show davanti alle telecamere a base di insulti, urla e battimenti di piedi. «Con un governo debole e pericoloso come quello in carica, il rischio di deragliare diventa certezza» avvisano i repubblicani. Ma loro sono all'opposizione. I liberali, invece, sono al governo e ormai ci stanno malissimo. «Con tutta la buona volontà di sostenerlo dice Valerio Zanone, presidente del partito - non si può negare che il governo Amato ormai ha il fiato grosso». E Sterpa: «Non siamo molto contenti di questo governo». Saranno i piccoli, i liberali o i socialdemocratici a dichiarare ufficialmente il decesso del governo che la de si rifiuta di certificare? Anche la Confindustria, solitamente prodiga di apprezzamenti per Amato, ieri è divenuta cauta. «Vediamo cosa saprà fare nel caso della trattativa sul costo del lavoro, poi decideremo» dice Presutti, presidente dell'Assolombarda. Alberto Rapìsarda Nella foto qui accanto Lucio Libertini di Rifondazione che ha disturbato continuamente Amato ed è stato richiamato dal presidente Spadolini (foto grande)

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