Colpo mortale ai boss di Pierangelo Sapegno

Colpo mortale ai boss Ricostruiti dieci anni di terrore. Aperta un'inchiesta sulle collusioni di uomini politici l Colpo mortale ai boss Blitz della Dia a Palermo, 58 arresti PALERMO DAL NOSTRO INVIATO C'è, nella storia di mafia, un'altra storia, che è quella di una società nella società, di uno Stato nello Stato. Totò Runa fa gli show nell'aula bunker, e gli uomini della Dia rispondono aprendo il più grande squarcio di luce mai aperto sulla mafia e sulla sua vita, ordinando 58 arresti, la maggior parte per uomini già in carcere, ricostruendo la cronaca di 42 omicidi e 12 lupare bianche, da Stefano Bontade fino a Libero Grassi, steso su un marciapiede di Palermo, davanti a una saracinesca abbassata, come uno straccio. Attenzione, non è un caso. L'ascesa, la rivoluzione, e la dittatura di Totò Riina vengono raccontati da una marea di pentiti. Vecchi e nuovi, alcuni conosciuti, qualche altro (due, pare, di cui uno molto importante) ancora nascosto, per fortuna. Ma questa volta non è solo una storia di sangue, perché quella che viene fuori è soprattutto una storia politica e sociale, lo scenario complesso di un dominio e di una strategia, e di un popolo anche, spettatore, vittima, e complice insieme. E non è un caso che, proprio ieri, a Palermo, rispondendo a uno studente che gli chiedeva «perché lo Stato per 23 anni non è stato capace di arrestare Totò Riina», il presidente della Commissione antimafia, Luciano Violante rispondesse: «Perché nessuno aveva dato l'ordine politico di arrestarlo». Tutto qui. Questa volta lo sappiamo. Non era semplicemente una guerra contro un mondo criminale quella che si svolgeva sotto i nostri occhi. In fondo, i magistrati e gli uomini della Dia l'altra notte non hanno compiuto blitz con gli elicotteri e i soldati con i passamontagna, e non hanno neppure scoperto niente di così clamoroso. Ma hanno fatto forse qualcosa di più importante, hanno tolto una maschera, hanno svelato uno Stato con la sua Polizia e la sua Giustizia, quello della mafia. «Tocca farsi sentire ogni tanto», disse una volta Giuseppe Madonia, dopo l'omicidio più difficile, perché più pericoloso, quello di Libero Grassi, spiegando a Pino Marchese le ragioni di un delitto che cominciava a pesare più di quanto si fosse pensato. «Pazienza, passerà anche questa», gli disse nella cella del carcere. «Ma se a questo cornuto non gli si sparava, tutti gli altri avrebbero seguito il suo esempio». Disse così: «Tocca farsi sentire ogni tanto». Come se quella morte fosse stata ordinata per una volontà superiore, per una strategia politica, appunto. Giancarlo Caselli spiega che «questa ricostruzione fa emergere, a prova assoluta di controdeduzioni, la figura di Riina come il capo assoluto di Cosa Nostra, e come il grande stratega del terrorismo mafioso». Caselli non lo dice, ma questa è la risposta agli interrogatori nell'aula bunker che tante polemiche avevano suscitato. E il sostituto Guido Lo Forte racconta tutte le tappe di questo dominio. La svolta di Cosa Nostra, «da dominio oligarchico alla dittatura di Riina, con la repressione del primo colpo di Stato». Dice proprio così, colpo di Stato. «I contributi dei pentiti», aggiunge Gioacchino Natoli, «ci hanno fatto comprendere che in questi decenni non ci siamo trovati davanti a una semplice organizzazione criminale, ma a un vero e proprio Stato nemico, con un suo territorio, i suoi organi di polizia e di giustizia, un suo popolo». E allora, per sventare quel colpo di Stato, vengono eliminati Vincenzo Puccio, ucciso a colpi di bistecchiera in una cella deU'Ucciardone, Agostino Marino Mannoia, Pietro Puccio e tanti altri. Poi parte la strategia contro il pentitismo. Quaranta giorni dopo l'inizio della collaborazione di Francesco Marino Mannoia, mentre queste confessioni avrebbero dovuto essere ancora segrete, Riina ordinò la ritorsione. Per la prima volta, vennero uccise tre donne, la madre la sorella e la zia di Mannoia. Dalla guerra di mafia, alla campagna contro il penti¬ tismo, fino all'omicidio più rappresentativo, quello di Libero Grassi. La dittatura di Riina si porta dietro una lunga scia di sangue. Stefano Bontade, il suo primo nemico, era violento e passionale. «Aspetto una riunione della Commissione e lo ammazzo con due revolverate davanti a tutti», urlò una volta. Riina, invece, non parlava mai, non minacciava mai apertamente i suoi nemici. «Era più freddo, più calcolatore. Ma anche più spietato», raccontano i pentiti. Così trasformò la mafia, eliminando prima i nemici e poi gli alleati, per comandare da solo. Cominciò con Bontade. Gli spararono come a un cane. E continuarono a uccidere. Ma quello di Libero Grassi fu un omicidio diverso, dove il forte significato politico rivelò alla fine una strategia pericolosa, sbagliata, «La ribellione di Libero Grassi», spiega ancora Lo Forte, «era un oltraggio per Cosa Nostra perché andava a contrastare proprio il controllo del territorio, e quindi automaticamente anche il controllo della società. E il commerciante che aveva osato tanto doveva essere ucciso in modo scenografico, perché quell'aggua¬ to fosse davvero una lezione per tutti». Ma la valutazione di Cosa Nostra, aggiungono i magistrati, fu errata. «Si pensava che il chiasso si esaurisse subito e invece la società civile ha reagito come la mafia neanche si aspettava». In quel momento il popolo di Sicilia cominciò ad alzare la testa, la società civile cominciò a resistere. Oggi, forse, possiamo dire che la sconfitta di Riina iniziò allora, davanti a quel cadavere abbandonato su un marciapiede. La storia di Totò tracciata dai pentiti si chiude qua, almeno per quello che riguarda l'operazione di ieri. 58 ordini di custodia cautelare, otto eseguiti, venti notificati in carcere. Ma questa storia lascia aperti altri capitoli, altre puntate ancora tutte da raccontare e che potrebbero esplodere tra poco. Accanto agli uomini d'onore, spiegano i giudici, «è emersa la categoria molto più vasta degli affiliati, cioè di persone che favoriscono dall'esterno Cosa Nostra e i suoi interessi». E aggiungono nemmeno tanti sibillini: «Si tratta di una realtà alla quale bisogna prestare la massima attenzione per distruggere questo humus che in passato ha costituito la forza della mafia». E poi, c'è il capitolo delle «relazioni esterne»: migliaia di fiancheggiatori, e tra questi anche uomini politici, sui quali vi sono indagini in corso. «Relazioni esterne» fatte anche con la politica della paura. Come quando uccisero davanti al La Rosa un amico. Gli spararono un colpo in testa. La Rosa restò muto con gli occhi spalancati. Il killer lo guardò senza dire niente, come a chiedergli da che parte stava. «Io sto con le cose giuste», disse La Rosa, «e mi metto nelle tue mani». Pierangelo Sapegno g| ColBlitz Nella foto grande il procuratore di Palermo, Giancarlo Caselli. Di fianco Luciano Violante

Luoghi citati: Palermo, Sicilia