Carriera all'ombra del garofano con un santo protettore: Larini

Carriera all'ombra del garofano con un santo protettore: Larini Carriera all'ombra del garofano con un santo protettore: Larini L'I AL POSTO DI MATTEI UE novembre 1989, coml memorazione dei defunti. Sta per andare in onda il Tg2 e il Consiglio dei ministri è ancora li riunito. Insuperabili diatribe sui destini del Paese? Sì e no. Si nomina il presidente dell'Eni. E a vederla oggi si capisce meglio la rilevanza della circostanza: come non discutere un po' sul nome di colui che occuperà l'ufficio in cui da quasi un quarantennio siede l'ufficiale pagatore del sistema dei partiti? Ma il gioco è fatto. Il vicepresidente del Consiglio socialista Claudio Martelli, in una delle sue migliori performance governative, propone, caldeggia e nomina senza colpo ferire il nuovo presidente dell'Eni. Giulio Andreotti gongola perché l'accordo preventivo contempla la nomina contestuale all'Ili non di un manager «di area», come con qualche pudore si dice, ma proprio di un suo famiglio, decisamente non geniale, ma di sicura fede. Se i socialisti hanno così a cuore i propri familiari..., come Andreotti aveva osservato una volta da ministro degli Esteri di Craxi accompagnando il caravanserraglio del presidente del Consiglio socialista in una visita ufficiale. I nomi dei nuovi eroi, oscuri ai più, campeggiano sulle prime pagine il giorno successivo: Franco Nobili, specialista di strade e dighe nel Terzo Mondo, alla guida della più grande holding pubblica del Paese; Gabriele Cagliari, oscuro ingegnere industriale di Guastalla, nella mitica poltrona che fu di Mattei. Le biografie, ma più spesso le agiografie, dilagano. Non si trova invece traccia delle vere storie e in particolare di quella assai gustosa del tetro ingegnere, afflitto da una speciale forma di balbuzie che quando parla lo costringe continuamente a schiarirsi la gola. Amico e socio in affari di Silvano Larini, il bon vivant con la piscina sul tetto dell'attico che ha dichiarato di esercitare la professione di «fattorino» delle tangenti destinate a Craxi, Cagliari all'inizio degli Anni Ottanta ha avuto esperienze all'Eni e nella chimica pubblica, ha fatto anche il consulente di Raffaele Ursini, il misterioso finanziere della Liquigas accreditato come front man della mafia, si è occupato dell'Eurotecnica, azienda di clan e di famiglia la cui storia meriterebbe un capitolo a parte, ma soprattutto ha fatto per un certo periodo l'amministratore della Federazione del psi di Milano. Sua moglie, Daria Di Lucca, detta con affettuosa malignità «Belfagor» nelle allegre serate milanesi intorno alla piscina del Silvano o nelle «gite» in climi più confortevoli, è stata consigliere comunale socialista di Sesto San Giovanni. Se non fosse per lei, Craxi non saprebbe neanche bene chi è quel Cagliari, che comunque non gli sta simpatico, quando nel 1983 il «fattorino» Larini gli dice che bisogna nominarlo membro della giunta esecutiva dell'Eni. Detto fatto. Larini nomina il suo membro della giunta esecutiva dell'Eni pensando ai suoi affari personali, ma quel Cagliari in giunta tornò poi utile anche al segretario, quando Franco Reviglio, in una sindrome di onnipotenza, pensò che come presidente dell'Eni poteva trascurare le «segnalazioni» craxiane. Fu una faccenda di pubblicità, non tra le più importanti, a far traboccare il vaso. Craxi aveva segnalato l'agenzia Testa di Milano per le ipermiliardarie campagne pubblicitarie dell'Eni, sulle quali si dice corrano «stecche» strepitose. Reviglio rispose di sì, ma poi affidò quasi l'80 per cento del budget, attraverso il suo plenipotenziario Alberto Meomartini, all'agenzia Masi. Da allora Craxi, quando è proprio costretto a citare l'attuale ministro delle Finanze non dice Reviglio, ma, con disprezzo, «Della Veneria». E' il secondo cognome nobiliare dell'economista torinese, il quale negli anni dell'Eni ebbe a che fare quasi quotidianamente con le damazze dell'entourage, con gli affaristi, con gli speculatori di ogni risma, col giro milanese dei Pompeo Locatelli, Ferdinando Mach di Palmenstain, Sergio Cusani e, all'interno, con il cupo ingegnere di Guastalla. «Della Veneria», per la verità, non usò sempre i guanti bianchi, né i toni accademici: intorno a Cagliari costruì una specie di cordone sanitario e anche gli uscieri del ventesimo piano sapevano che le carte all'ingegnere che non guarda mai dritto negli occhi era meglio non portarle. Ma quando nell'estate del 1989 Reviglio pensò di poter essere riconfermato alla presidenza dell'Eni, era troppo tardi. Larini aveva lavorato bene. Ma, soprattutto, avevano lavorato Ferdinando Mach e Sergio Cusani. Come definire, per farci capire, questi due signori? Nel modo più semplice, diremmo affaristi dell'orbita socialista, insomma dei Larini della nuova generazione, più capaci, meno gaudenti e più lavoratori. Mach più autorevole di Cusani, almeno finché Giampaolo Sodano, compagno della signora Cusani, sorella di Sergio, non fu nominato personalmente da Craxi direttore della Rete 2 della Rai. Ma questa è un'altra storia, che l'ex direttore socialista di Rai-2, Locatelli, soppiantato da Sodano, ha battezzato la storia dell'«Albero delle zoccole». Fatto sta che quando Reviglio tenta la ricucitura, Mach, Cusani e Larini hanno già portato l'ingegnere di Guastalla da Martelli: sarà lui il nuovo presidente dell'Eni, anche se Craxi aveva pensato a Lorenzo Necci, manager di ben altra qualità e levatura. Per chi scriverà la storia del «delfinato» di Martelli, questo sarà un passaggio fondamentale. L'intreccio tra padre nobile e delfino è tale che le responsabilità dell'uno e dell'altro non sono districabili: Mach, Cusani, Larini stesso, Cagliari, sono uomini di Craxi o di Martelli? La nomenklatura milanese degli affari so- cialisti aveva forse già scontato nel 1989 la crescita del delfino e su di lui aveva puntato le sue carte fin dalla nomina del nuovo presidente dell'Eni? O, ancora, sia Craxi che Martelli erano in qualche modo ostaggi dei figuri che facevano fronte all'enorme fabbisogno finanziario? Poco importa, è una storia politicamente già finita con il conto «Protezione». Quel che è certo è che il primo atto dell'ingegnere di Guastalla portato da Larini e soci al ventesimo piano del grattacielo dell'Eur, sotto il ritratto di Enrico Mattei, fu l'assunzione nel ruolo aziendalmente stratosferico di assistente del presidente della dottoressa Daniela Viglione, signora bella e intelligente, compagna di Bruno Pellegrino, ex senatore, amico tra i migliori di Martelli. Subito dopo toccò a Pasquale Guadagnolo, ex segretario di Craxi, ma anche lui amico di Martelli. Un intreccio inestricabile oggi, alla luce degli eventi che hanno contrapposto l'ex leader all'ex delfino, ma non incomprensibile se riportato alla situazione di quattr'anni fa. Inutile dire che la Viglione e il povero Guadagnolo si rivelarono subito un disastro. Come tener testa all'astuto Sernia, onnipotente proconsole demitiano nell'Eni, o allo sfuggente Grotti, amministratore del condominio forlaniano? Come spiegare poi alla signora Daria Cagliari, ormai nel ruolo di zarina, che se i giornali definivano il marito «boiardo di Stato» non c'era modo di intervenire senza farsi ridere dietro? Ma questo è folclore rispetto al dramma dell'ingegner Cagliari, uno di quegli uomini di apparato mai padroni di loro stessi. Fu come lui il suo predecessore Raffaele Girotti, ma non lo furono certamente Mattei e Cefis. Questi erano padroni dei politici, i loro tardi epigoni ne son stati gli sciocchi servitori. Che Cagliari sia finito a San Vittore per una storia minore rispetto all'Enimont e alle speculazioni in cambi, per una questione del «Nuovo Pignone», l'azienda salvata da Mattei perché il sindaco di Firenze La Pira glielo aveva chiesto in nome della Madonna, è quasi un segno del destino: la preistoria dell'economia mista rotola come un macigno nella stagione della sua imminente estinzione. Alberto Staterà In giunta dall'83, poi emarginato da Reviglio Il ritorno in sella nel 1989: quando Craxi decide di affidargli la presidenza A sinistra, il ministro delle Finanze Franco Reviglio ex presidente dell'Eni. Qui accanto, Silvano Larini