Montalto, manette al presidente Eni

Montalto, manette al presidente Eni Gabriele Cagliari avrebbe pagato 4 miliardi al psi per appalti alla centrale Enel Montalto, manette al presidente Eni Arrestato anche datti (Nuovo Pignone) I MILANO. E adesso tocca al vertice dell'Eni. Punta subito in alto il giudice Di Pietro, e per una mazzetta da quattro miliardi pagata per gli appalti sulle turbine alle centrali Enel, manda a San Vittore Gabriele Cagliari, presidente Eni in carica, e Franco Ciatti, presidente del Nuovo Pignone di Firenze, gruppo Eni. Ammettono subito i due top manager di Stato, ma negano di essere dei corruttori. Quei soldi, finiti su un conto occulto del psi di Lugano, furono chiesti da un emissario del partito. Bussano nella notte gli uomini della Guardia di Finanza mandati da Di Pietro. Bussano a Milano, nella casa di Gabriele Cagliari, e poi anche a Firenze, dove risiede Franco Ciatti. «Buste gialle» per tutti e due. Ma non sono informazioni di garanzia. E non è nemmeno la vicenda Enimont, per cui Cagliari è già stato «avvisato» dalla procura di Roma. Una notte in caserma e poi via verso San Vittore. Due celle singole, sesto raggio, lato B, primo piano, pure per loro. Sono arresti eccellentissimi questi, e il tam-tam di metà mattina supera i confini di Tangentopoli. In venti minuti, da quando la notizia diventa ufficiale, in Borsa si sentono i primi effetti. E la lira va subito giù. Con gli arresti scattano le perquisizioni, a Milano negli uffici di Cagliari, a Roma nella sede dell'Eni, a Firenze in quella del Nuovo Pignone. Montagne di documenti finiscono tra le carte dell'inchiesta. Ma le prove d'accusa contro i due manager ci sono già. Tocca a Franco Ciatti essere interrogato per primo. Il giudice Italo Ghitti snocciola le accuse, dettagliate, precise, con diverse chiamate di altri imputati. Ascolta il manager fiorentino. Ascolta e con il suo sigaro inonda di fumo la stanzetta al primo piano, sala interrogatori. Poi risponde, per ore. Ricorda Franco Ciatti quella richiesta venuta da Bartolomeo De Toma, imprenditore, ex collaboratore di Craxi per le questioni energetiche, e ora «grande pentito» dell'inchiesta. Disse più o meno così De Toma, quella sera dell'89, durante una cena di affari e di tangenti: se il Nuovo Pignone vuole entrare nell'affare per le turbine a gas per le centrali Enel deve pagare la mazzetta. Quattrocento miliardi l'appalto, 1% la tangente. Quattro miliardi da versare su un conto svizzero, in una banca di Lugano. Quattro miliardi per alimentare le voraci casse di Via del Corso. A quella cena, oltre a De Toma, era presente anche Valerio Bitetto, ex amministratore Enel per conto del garofano, anche lui grande collaboratore dei giudici di «Mani pulite». E poi, a completare quel quartetto, c'era pure Gabriele Cagliari, non ancora presidente ma già nell'esecutivo Eni, chiamato ad avallare il pagamento della tangente. Dura ore l'interrogatorio di Franco Ciatti. E alla fine ammette pure lui. Con un distinguo. Quei soldi, vennero chiesti. Non offerti. E Franco Ciatti da corruttore cerca di passare per concusso, scaricando tutto su Bartolomeo De Toma. Ma l'interrogatorio non è finito e si riprende oggi. Non commentano i difensori di Ciatti, e all'uscita dal carcere cercano di evitare telecamere, fotografi, giornalisti. Anche un reporter olandese, mandato a vedere un «sistema» che crolla dentro le mura di un carcere. Aspetta il suo turno Gabriele Cagliari, e davanti al giudice Gherardo Colombo ci rimane poi per otto ore. Ammette anche lui il suo interessamento per quella mazzetta a nove zeri per il garofano, ma, come Ciatti, si definisce un concusso, obbligato a pagare. Spiega il suo legale, l'avvocato Vittorio D'Aiello: «In quell'incontro, ammesso dal mio assistito, vennero definite le linee generali dell'affare. Cagliari in seguito non si interessò più, si limitò solo a partecipare a quella riunione per definire le linee di massima su come diventare fornitori Enel». Aggiunge ancora il legale del presidente dell'Eni, che in serata ha rassegnato le dimissioni dall'incarico: «La decisione di sottostare a certe condizioni venne presa a causa della situazione economica del Nuovo Pignone». Dice ancóra l'avvocato D'Aiello: «Nell'89, periodo in cui è avvenuta la trattativa, la società aveva difficoltà economiche e, per riprendersi sia sul piano nazionale che internazionale, aveva come possibilità proprio quella di diventare fornitrice dell'Enel». Interrogatori per tutto il giorno, e ancora una notte in cella. I difensori non hanno ancora presentato istanze. Attendono il nuovo faccia a faccia con i giudici previsto per oggi. Sorprese in vista, almeno per Gabriele Cagliari? Sì, c'è ancora tutta la vicenda Enimont, il matrimonio che diede vita al colosso della chimica, che interessa al giudice Di Pietro. E per Cagliari i guai potrebbero essere solo all'inizio. Fabio Potetti I due manager chiamati in causa da De Toma e Bitetto confessano ma aggiungono «siamo stati costretti» I Il presidente dell'Eni Gabriele Cagliari arrestato nella notte fra lunedi e martedì dalla Guardia di finanza nella sua abitazione milanese Franco Ciatti l'altro arrestato E* presidente del «Nuovo Pignone» dal giugno del 1980